Porto Campana: introduzione e inquadramento generale

INQUADRAMENTO DELL’AREA

L’area di studio, ricadente nel SIC ITB042230 “Porto Campana”, si colloca nel territorio di Domus de Maria, nel settore sud-occidentale della Sardegna, (Sulcis) ( Fig. 1).
I caratteri fisiografici dominanti dell’area sono rappresentati dal vasto litorale sabbioso di Chia e dai retrostanti stagni costieri, che sono delimitati dai tratti di costa rocciosa di Capo Spartivento a sud-ovest e di Monti sa Guardia a nord-est e, nel settore interno, da una serie di superfici subpianeggianti del Rio di Chia, di Su Pranu Spartivento, Sa Tanca e Sa Tuerra che fungono da raccordo al vasto sistema montano e collinare; quest’ultimo racchiude il bacino idrografico del Rio Mannu–Rio di Chia e di altri corsi d’acqua secondari che confluiscono nel settore costiero in esame.

Fig. 1 – Mappa di posizione dell’area di studio SIC “Porto Campana” ITB042230.

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Pineta della Foce del Garigliano: introduzione e inquadramento generale

A cura di:

Micla Pennetta(1), Vera Corbelli(2), Vincenzo Gattullo(3), Raffaella Nappi(2)

(1) Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse – Università degli Studi di Napoli “Federico II”; Largo S. Marcellino, 10. 80138 – Napoli – Italy – Email: pennetta@unina.it

(2) Autorità di Bacino Nazionale dei Fiumi Liri-Garigliano e Volturno; Viale Lincoln 81100 – Caserta – Italy – Email: raffaella.nappi@autoritadibacino.it

(3) c/o Autorità di Bacino Nazionale dei Fiumi Liri-Garigliano e Volturno; Viale Lincoln 81100 – Caserta – Italy – Email: v.gattullo@libero.it

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Nell’ambito del Progetto cofinanziato dalla Comunità Europea, Programma LIFE + Natura LIFE07NAT/IT/000519, Progetto partenariale “PROVIDUNE – Conservazione e ripristino di habitat dunali prioritari” a cura delle Province di Cagliari – Soggetto Capofila, Matera, Caserta, la Provincia di Caserta decideva di studiare l’area del SIC (Sito di Interesse Comunitario) Pineta della Foce del Garigliano – IT8010019 – (Fig. 1). E’ stata, pertanto, studiata la fascia dunare presente nell’area SIC del settore costiero ubicato in sinistra foce del Fiume Garigliano (Campania settentrionale, Italia); essa si inserisce in un ambiente di transizione caratterizzato da dinamiche morfosedimentarie sensibili alle trasformazioni naturali ma soprattutto alle modificazioni dirette o indirette derivanti dall’attività antropica.

L’evoluzione morfosedimentaria di un sistema dunare è legata all’interazione di alcuni processi quali l’apporto detritico di origine fluviale o marina, l’attività di venti dominanti, i processi morfosedimentari del sistema costiero, i processi di subsidenza dell’area, il sollevamento del livello del mare. Agli effetti rivenienti da tali processi va sommata l’attività della vegetazione che con gli apparati radicali svolge un ruolo determinante per il consolidamento e quindi l’accrescimento delle dune. Le dune mature hanno benefici effetti sul retrospiaggia e in generale sull’ambiente costiero perché costituiscono sia una riserva di sabbia per la spiaggia nei casi di bilancio sedimentario negativo, che una barriera fisica a protezione dei territori retrostanti per il contrasto che oppongonoal sormonto delle onde durante mareggiate eccezionali; rappresentano anche sia una riserva di acqua dolce che un habitat di importante valore naturalistico e paesaggistico. Pertanto, le azioni finalizzate alla difesa delle dune si rivelano particolarmente strategiche ai fini della difesa dei litorali.

INQUADRAMENTO GEOLOGICO

Nella Campania settentrionale si delinea il Golfo di Gaeta, un’ampia ansa litoranea nella quale si sviluppano caratteri costieri nel complesso omogenei (Segre, 1950) fino al limite meridionale costituito dal distretto vulcanico dei Campi Flegrei (Fig 1). Tale golfo è delimitato nell’entroterra dai rilievi carbonatici dei Monti Aurunci e dei Monti di Caserta (Bergomi et alii, 1969, Billi et alii, 1997). I primi giungono con le propaggini fino a mare, a Nord di Gaeta, per poi arretrare, attraverso sistemi di faglie dirette, per diversi chilometri verso Sud, creando le condizioni di sviluppo della piana costiera del Fiume Garigliano (Brancaccio et alii, 1991).

geologia

Fig. 1 – L’area in studio è ubicata in sinistra foce del Fiume Garigliano; il fiume segna il confine tra la Campania e il Lazio.

Nel Pliocene superiore, lungo le fratture che limitano la depressione che ospita la piana costiera, si è succeduta un’intensa attività vulcanica che ha prodotto la genesi e lo sviluppo del Vulcano Roccamonfina (Ballini et alii, 1989). Nel Plio-Pleistocene la depressione veniva colmata da depositi terrigeni, di origine marina, continentale e di transizione, intercalati a prodotti piroclastici e lavici (Capaldi et alii, 1985; Di Girolamo et alii, 1988), potenti nel complesso circa 1.000 m (Ippolito et alii, 1973).

La facies marino-costiera è caratterizzata dai depositi dunari di età olocenica e dai depositi di duna riferibili all’Eutirreniano (Abate et alii, 1998); è presente un doppio sistema di cordoni dunari con una depressione inclusa.

La costa campano-laziale compresa tra Gaeta e Cuma si sviluppa per un’estensione di circa 65 Km con andamento NO-SE; lungo la costa si sviluppano spiagge sabbiose anche di notevole estensione cui si intercalano tratti limitati di costa alta e rocciosa.

Il litorale in studio è caratterizzato da un’estesa spiaggia sabbiosa, dal sistema di foce e dall’ampia piana antropizzata del Fiume Garigliano. Verso la foce l’alveo è sinuoso ed è caratterizzato da un percorso con direzione NO-SE, risultante dall’influenza della deriva litoranea prevalente. L’utilizzo di traccianti artificiali (Cocco et alii, 1986) ed i risultati di analisi petrografiche (Gandolfi & Paganelli, 1984) hanno consentito di stabilire che i sedimenti apportati al mare dal Fiume Garigliano subiscono un trasporto prevalente lungo costa da NO verso SE. La costa è interessata in tempi storici da una prevalente tendenza all’arretramento; in particolare, Cocco et alii (1986) individuano processi di arretramento che interessano la linea di riva dal 1954 fino al 1982, talvolta discontinui.

STUDI ESEGUITI

Sono state analizzate le carte topografiche e riprese aerofotografiche dell’Istituto Geografico Militare (IGM) a partire dal 1897 fino al 1991 (scala compresa tra 1:50.000 e 1:17.000), la Carta Tecnica Regionale (scala 1:5.000), le Ortofoto Aima e CGR colore del 1998, la Carta Tecnica Regionale del 2004 (scala 1:5.000), le ortofoto ORCA del 2005. Il loro confronto, con l’utilizzo di una piattaforma GIS (Geographic Information System), integrato da rilevamenti in sito, ha consentito di delineare le tendenze morfoevolutive della linea di riva in tempi recenti ed attuali.

E’ stato inoltre eseguito un rilievo topografico della spiaggia emersa con un teodolite a stazione totale, integrato con un sistema di posizionamento globale mediante stazione DGPS/RTK in tutta la porzione scoperta dell’area in studio, mentre la pineta è stata rilevata mediante Stazione Totale attesa la scarsa potenza del segnale GPS. La topografia è stata elaborata con un software dedicato e georeferenziata secondo il Sistema UTM WGS 84. L’attività in sito è stata completata con un rilevamento geomorfologico e sedimentologico riportato su carte geotematiche georeferite, restituite sul rilievo topografico.

Sono stati inoltre prelevati n. 100 campioni di sedimento superficiale, in corrispondenza di stazioni di campionatura georeferenziate secondo la proiezione WGS84. I campioni sono stati sottoposti ad analisi granulometriche e i risultati elaborati al calcolatore per ricavare i parametri statistici secondo Folk & Ward (1957). Il prelievo di sedimenti lungo i transetti è stato effettuato, in accordo con Bellotti et alii, (2006), in corrispondenza di siti morfologicamente e sedimentologicamente significativi, quali: spiaggia sommersa in prossimità della linea di battigia, spiaggia esterna, spiaggia interna, piede della duna, cresta della duna e retroduna.

CARATTERI MORFOLOGICI E MORFOEVOLUTIVI

Il sistema costiero in studio, incluso nell’area SIC, si sviluppa per una lunghezza della linea di riva pari a circa 2.7 km ed una larghezza allo stato pari a circa 500 m. Il litorale è soggetto a processi di arretramento; l’entità dell’arretramento nel periodo 1954 – 2009 è circa 80-90 m nel tratto settentrionale; questo valore tende gradualmente a diminuire verso Sud, attestandosi su valori medi di 35 m e massimi di circa 45 m (Fig. 2; si osservi la linea marrone verso il mare, che indica il limite dell’area SIC, coincidente approssimativamente con la linea di riva del 1954, e la linea blu, corrispondente alla linea di riva del 2009). Si individua un tasso di erosione, benché non riferibile ad un processo continuo, complessivamente variabile tra 1.5 e 0.6 m/anno negli ultimi 55 anni.

L’ampiezza della spiaggia emersa è ovunque ridotta, variando da 7 m a 35 m, generalmente meno ampia nel tratto settentrionale, attestandosi su valori di una decina di metri, e gradualmente più ampia nel suo tratto meridionale.

Gli esiti dei processi morfoevolutivi che hanno interessato il tratto di costa in studio si manifestano anche nel rilevamento di dettaglio dell’area svolto con criteri in accordo con Masselink & Hughes (2003). La spiaggia è limitata verso l’interno da un gruppo di cordoni dunari olocenici, probabilmente almeno sei, messi in posto durante la fase trasgressiva versiliana (Fig. 2); tale gruppo comprendeva in origine più cordoni di quelli residuati. Attualmente il fronte dunare è costituito principalmente da dune embrionali, addossate ad una duna secondaria (Fig. 2) fissata da vegetazione strutturata di tipo arbustivo e arboreo, tra cui specie di notevole pregio, come il ginepro. Questo sistema presenta evidenze di scalzamento ed erosione per l’azione del mare e talora per azione antropica, con versanti controvento più acclivi (circa 30°) rispetto a quelli sottovento. Tali anomalie sono da attribuire agli scalzamenti al piede dovuti agli eventi metomarini più gravosi ma, frequentemente, anche alle operazioni di pulizia e ampliamento della spiaggia con mezzi meccanici. Il fronte dunare presenta quote di culminazione piuttosto basse comprese tra 2 e 4 metri che riduce la capacità di contrasto alle maggiori ondazioni. Numerosi varchi di accesso al mare e conche di deflazione (blowouts) frammentano la duna, accelerando i processi di demolizione. Le conche di deflazione sono forme comuni in ambienti di duna costiera in erosione (Hesp, 2002) che si formano per erosione attuata dal moto ondoso, per accelerazione del flusso d’aria sopra la cresta di dune, in risposta ai cambiamenti climatici, per variazioni della vegetazione nello spazio o nel tempo, per erosione delle acque superficiali e per impatto antropico.

Si è rilevata l’assenza della avanduna o duna primaria (schema integro in Ley Vega de Seoane et alii, 2007); la sua funzione sarebbe stata quella di rifornire sedimento alle dune. La sua assenza è legata al budget negativo della spiaggia che ne inibisce la formazione (Putsy, 1988), atteso che il suo accrescimento si attua durante le fasi di progradazione di una spiaggia. Gli effetti del budget negativo sono resi manifesti dall’arretramento della linea di riva affermatosi negli ultimi 55 anni sul litorale in studio.

A tergo del cordone di duna secondaria (Fig. 2) è presente una lunga depressione interdunare, interessata per un lungo tratto dalla presenza di una strada campestre. Verso l’interno si riconoscono almeno un paio di cordoni dunari principali, con pineta impiantata intorno al 1935, che vengono attribuiti alla duna terziaria (classificazione in Ley Vega de Seoane et alii, 2007). I due cordoni dunari sono quasi paralleli alla linea di riva e con quota delle creste sostanzialmente più elevate da 3.5 m a 4.5 m rispetto a quelle della duna secondaria (da 2.5 m verso Nord a 3.5 m verso Sud). Le quote non regolarmente distribuite e la morfologia dei corpi dunari talvolta articolata, più che a processi naturali, potrebbero essere messe in relazione a rimaneggiamenti del suolo tra i quali non si escludono quelli legati alle attività di piantumazione dei pini. Anche in questa fascia sono presenti numerosi varchi di attraversamento da e verso il mare.

Dalle dune terziarie si passa verso l’interno ad un settore di cordoni dunari gradualmente più antichi, con le creste delle dune generalmente spianate per effetto delle attività antropiche che si sono succedute nel tempo, e con frequenti, ma modeste aree depresse intercluse che sono sovente il residuo di attività di prelievo di sabbia utilizzata verosimilmente per la bonifica dell’area depressa retrodunale, fino agli anni‘50-60. L’area depressa, nota come Pantano di Sessa, ancora paludosa in epoca storica (cartografie del 1909), è stata bonificata con gli interventi attuati nell’area in un periodo intorno al 1930.

Tra gli indicatori più significativi della qualità complessiva dei sistemi dunari sono da considerare lo stato di conservazione, il tipo e la seriazione di vegetazione presente. Oltre all’alterazione dello stato fisico finora descritto, anche la seriazione vegetale presenta modificazioni rispetto ai modelli di zonazione delle comunità vegetali psammofile gradualmente più strutturate, tipici delle aree costiere del litorale domizio. Le condizioni d’equilibrio o progradazione avrebbero compreso generalmente (procedendo da mare verso l’entroterra): il Cakileto (nella fascia interna della spiaggia), l’Agropyreto (duna embrionale), l’Ammophileto (avanduna), il Crucianelleto e la macchia mediterranea con specie arbustive e arboree costituite da mirto, lentisco e, specie di grande pregio, il ginepro (dune stabilizzate). Invece, si è rilevata, a tergo della zona afitoica della spiaggia, una seriazione organizzata in maniera ridotta secondo fasce parallele alla linea di riva, incompleta, discontinua e compressa, con sovrapposizioni e locali compenetrazioni spaziali di comunità (mosaicizzazione); peraltro emerge l’assenza dell’Ammophileto, comunità tipica dell’avanduna. Queste irregolarità costituiscono una risposta all’adattamento delle comunità vegetali ai cambiamenti morfologici legati all’erosione della spiaggia e del sistema dunale. Anche l’attività antropica ha avuto un ruolo importante su queste modificazioni; il diffuso calpestio che si svolge sul sistema dunale per raggiungere la spiaggia, attraverso numerosi sentieri, talvolta percorsi anche da autoveicoli, ha determinato varchi attraverso la macchia che hanno favorito la penetrazione delle specie di duna embrionale e avanduna in posizioni più interne, determinando quindi l’insediamento di specie vegetali, non coerenti con la seriazione attesa, nei vuoti determinati dal calpestio, ai bordi delle comunità più strutturate.

schema

Fig. 2 – Stralcio della carta morfologica nel settore settentrionale dell’area SIC ubicata in sinistra Foce del Fiume Garigliano. Legenda: 1 – Limite area SIC (≈ linea di riva del 1954); 2 – Linea di riva, in arretramento, rilevata nell’agosto 2009; 3 – Spiaggia emersa; 4 – Duna secondaria riattivata; 5 – Cresta di duna costiera; 6 – Blowout; 7 – Duna terziaria pinetata; 8 – Area dei cordoni dunari più interni; 9 – Creste dei cordoni dunari spianate per effetto di attività antropiche; 10 – Depressione retrodunare.

 

Pineta della Foce del Garigliano: caratteristiche sedimentologiche e modelli

A cura di:

Prof.ssa Micla Pennetta* (Coordinamento Scientifico)

Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse – Università degli Studi di Napoli “Federico II”; Largo S. Marcellino, 10. 80138 – Napoli – Italy – Email:pennetta@unina.it

 

Dott. Claudio Kalb** (Modellizzazione degli scenari idrodinamici)

**Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche – Università degli Studi di Cagliari; Sede di Via Trentino, 51 – 09127 Cagliari – Italy – Email:ckalb@unica.it

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Nella spiaggia in studio la distribuzione dei sedimenti è nel complesso regolare; si è rilevata una graduale diminuzione delle dimensioni medie dei sedimenti dalla spiaggia ai complessi dunali più interni (Fig. 3). Si individuano aree strette ed allungate caratterizzate da sedimenti ghiaiosi (-1.9<Mz<-2.8) nell’area sommersa in prossimità della battigia, da sedimenti sabbioso-medi (2.00<Mz<1.00) nella spiaggia esterna e da sedimenti sabbioso-fini nella spiaggia interna (3.00<Mz<2.00), nel complesso moderatamente classati (0.5<σI<1.0), ad eccezione di pochi campioni poco classati. I valori dei coefficienti di asimmetria (SkI) di norma negativi o prossimi allo zero e quindi con asimmetria delle curve di frequenza per lo più verso la frazione grossolana o con distribuzione quasi simmetrica, consentono di inserire tali sedimenti in un ambiente ad elevata energia idrodinamica, dominato dal moto ondoso. I sedimenti di duna secondaria (in assenza di avanduna), in posizione immediatamente retrostante la spiaggia, per una distanza dalla linea di riva generalmente compresa tra 25 m e 50 m circa, ricadono nelle classi della sabbia fine sui versanti della duna (Mz=2.5-3.00), risultando moderatamente classati (0.5<σI<1.0), e nella classe dei sedimenti sabbiosi generalmente molto fini (<3<Mz<3.5) sulle creste. Questi ultimi risultano essere moderatamente classati e subordinatamente poco classati; l’andamento delle curve di frequenza di tutti questi campioni migra con gradualità da asimmetrico verso la frazione grossolana a quasi simmetrico.

A tergo dell’allineamento delle dune secondarie, anche i sedimenti che caratterizzano la depressione interdunare ed i cordoni di duna terziaria ricadono nelle classi della sabbia fine; anche in questo caso, generalmente sulle aree di cresta, sono presenti sedimenti sabbiosi molto fini (<3<Mz<3.5). Nel complesso risultano da discretamente a mediocremente selezionati e subordinatamente poco classati; la distribuzione delle curve di frequenza mostra generalmente un’asimmetria verso la frazione grossolana.

L’analisi delle curve cumulative ha permesso di stabilire che i sedimenti di spiaggia emersa posseggono caratteri condizionati da un ambiente dinamico di alta energia; hanno subito un trasporto prevalente per saltazione e subordinatamente per trazione (Visher, 1969), e con energia tale da impedire la deposizione di sedimenti sottili in sospensione grazie all’effetto di ripulitura (winnoving). Anche i sedimenti sabbiosi più sottili dell’ambiente dunare posseggono caratteristiche tessiturali compatibili con l’attività selezionatrice dei processi di deflazione agenti in tale contesto.

Tuttavia, nel complesso si osserva che i sedimenti della spiaggia interna posseggono caratteristiche granulometriche e tessiturali simili a quelle dei corpi dunari, fatta eccezione per le aree di cresta (Fig. 3); vengono quindi confermate le osservazioni fatte in sede di rilevamento morfologico. In pratica, i cordoni dunari secondari che nel passato erano stabili ora sono riattivati per processi erosivi e risultano in fase di smantellamento. I sedimenti rivenienti dalla duna secondaria riforniscono quindi la spiaggia interna; questa avrebbe dovuto invece essere alimentata da una duna primaria (o avanduna) oramai completamente erosa. Inoltre, una certa omogeneità dei dati (Fig. 3), unitamente alle osservazioni tenute in sito, consente anche di affermare che tutti i caratteri sedimentari finora descritti risultano essere condizionati da un rimaneggiamento dei sedimenti da collegare ad attività antropiche, ivi compresa quella di pulizia con mezzi meccanici, che interessano tutta la spiaggia emersa e probabilmente anche parte del sistema dunare.

stralcio sedimentologia

Fig. 3 – Stralcio della carta delle facies granulometriche nel settore settentrionale dell’area SIC ubicata in sinistra Foce del Fiume Garigliano; le facies sono indicate con differenti colori. Viola: sabbia molto fine; Celeste: sabbia fine; Verde: sabbia media; linea marrone: limite dell’area SIC

 Applicazione del modello

La modellizzazione eseguita attraverso l’applicazione del software Delft3d è stata applicata utilizzando gli eventi meteomarini più ricorrenti e di maggiore energia risultati dall’analisi del clima d’onda eseguita nel settore in studio. La modellizzazione è stata eseguita per una velocità costante del vento di 10 km/h, una durata dell’evento meteomarino di 24 h, un’altezza significativa (Hs) di 2 m  e un periodo di picco (Tp) di 7,5 s.

I modelli elaborati sono stati calcolati su tre direzioni di venti dominanti:

– Evento con direzione N210, coincidente con il fetch massimo per l’area in esame.

– Evento con direzione N270, coincidente con l’orientazione dei venti dominanti;

– Evento con direzione  N255.

I modelli idrodinamici sono stati ottenuti sulla base di questi quattro differenti scenari, i quali riprodurrebbero le condizioni relative alla (i) direzione dei fronti d’onda, (ii) alla ricostruzione della velocità dei flussi idrodinamici che verrebbero generati da tali scenari, ed (iii) alla distribuzione delle aree sottocosta soggette ad escavazione e/o accumulo durante ciascun evento.

Evento con direzione N210

La modellizzazione dell’evento meteomarino generato da vento con velocità di 10 m/s proveniente da una direzione di N210 (Fig. 17) evidenzia la presenza di fronti d’onda (Fig. 17 C) aventi una direzione prevalente di approccio del moto ondoso verso i quadranti nord-orientali (N40E). Tale simulazione, eseguita per una durata dell’evento di 24 h, non ha mostrato nel tempo variazioni significative nella direzione dei fronti d’onda.

figura 17 modelli

Fig. 17 – Modelli di simulazione del DELFT3D ricostruiti sul tratto costiero in esame (Zona SIC della Foce del Garigliano) per una direzione del vento di N210 ed una velocità dello stesso di 10 m/sec dopo 24 h dall’inizio dell’evento meteomarino. (A) Vettori dei flussi idrodinamici. (B) Velocità dei flussi idrodinamici. (C) Direzione dei fronti d’onda. (D) Zone di accumulo ed escavazione.

La simulazione per lo stesso evento dei flussi idrodinamici (Fig. 17 B) mostra valori di velocità dei flussi poco significativi nel settore distale della spiaggia sommersa (inferiore a 0,2 m/sec), i quali tendono progressivamente ad aumentare in prossimità della linea di riva fino a valori di circa 0,7 m/sec, soprattutto nel settore settentrionale, dove tendono ad orientarsi parallelamente alla linea di costa con andamento SE-NO (Fig. 17 A). L’effetto di un simile evento meteomarino sui sedimenti di fondo (Fig. 17 D) indicherebbe che i settori soggetti a maggiore escavazione coincidono con quelli del tratto più settentrionale, con limitate zone di accumulo nel settore meridionale.

Evento con direzione N270

La modellizzazione, eseguita per una durata dell’evento di 24 h, dell’evento meteomarino generato da vento con velocità di 10 m/s proveniente da una direzione di N270 (Fig. 18) evidenzia la presenza di fronti d’onda (Fig. 18C) che tendono a ruotare, nel corso dell’evento, verso la direzione NNE. I valori di velocità del flusso idrodinamico (Fig. 18B) assumono valori inferiori a 0,1 m/sec nel settore distale della spiaggia sommersa mentre, in corrispondenza dei primi metri di spiaggia sommersa, la velocità raggiunge valori maggiori di 0,5 m/sec, con vettori orientati parallelamente alla linea di costa e con direzione verso i quadranti sud-orientali. L’effetto di un simile evento meteomarino sui sedimenti di fondo della spiaggia sommersa (Fig. 18D) consente di rilevare che i settori sottoposti ad escavazione più importante coincidono con il sistema di barre e truogoli che caratterizzano i primi metri della spiaggia sommersa, con limitate zone di accumulo sopratutto nel settore meridionale e sempre in prossimità della linea di riva.

figura 18 modelli

Fig. 18 – Modelli di simulazione del DELFT3D ricostruiti sul tratto costiero in esame (Zona SIC della foce del Garigliano) per una direzione del vento di N270 ed una velocità dello stesso di 10 m/sec dopo 24 h dall’inizio dell’evento meteomarino. (A) Vettori dei flussi idrodinamici. (B) Velocità dei flussi idrodinamici. (C) Direzione dei fronti d’onda. (D) Zone di accumulo ed escavazione.

 Evento con direzione N255

La modellizzazione, eseguita per una durata dell’evento di 24 h, dell’evento meteomarino generato da vento con velocità di 10 m/s proveniente da una direzione di N255 evidenzia la presenza di fronti d’onda (Fig. 19 C) che tendono a ruotare, nel corso dell’evento, verso la direzione NNE. I valori di velocità del flusso idrodinamico (Fig. 19 B) assumono valori inferiori a 0,1 m/sec nel settore distale della spiaggia sommersa mentre, in corrispondenza dei primi metri di spiaggia sommersa, la velocità del flusso idrodinamico raggiunge i valori massimi. Come nel caso della modellizzazione dell’evento meteomarino con direzione N270, le direzioni dei flussi genererebbero correnti dirette verso SE (Figg. 19 e 18 A).

figura 19 modelli

Fig. 19 – Modelli di simulazione del DELFT3D ricostruiti sul tratto costiero in esame (Zona SIC) per una direzione del vento di N255 ed una velocità dello stesso di 10 m/sec dopo 24 h dall’inizio dell’evento meteomarino. (A) Vettori dei flussi idrodinamici. (B) Velocità dei flussi idrodinamici. (C) Direzione dei fronti d’onda. (D) Zone di accumulo ed escavazione.

La dinamica dei sedimenti durante un simile evento meteomarino, indicherebbe che i settori di maggiore escavazione coincidono con il sistema di barre e truogoli che caratterizzano i primi metri della spiaggia sommersa, con limitate zone di accumulo sopratutto in prossimità della linea di riva (Fig. 19 D).

La morfologia articolata del sistema di barre, truogoli e canali controlla la dinamica piuttosto complessa che risente delle differenti direzioni d’incidenza del moto ondoso, nella maggior parte degli eventi perturbativi, tra le direzioni di 210° e 270°. In particolare sia dalla costruzione dei piani d’onda con relativi calcoli della direzione, potere e velocità della corrente lungo costa che dall’analisi delle direzioni di transito sedimentario si può definire il prevalere di un drift litoraneo da Nord Ovest prevalentemente diretto verso Sud Est. La direzione ed in verso delle correnti lungo costa, ricavate dall’elaborazione dei dati DELFT, erano già state individuate nel corso degli studi della spiaggia emersa ove si rilevano gli effetti di tali processi, ovvero maggiori erosioni nei tratti si spiaggia presenti nel lato sottoflutto della foce del Fiume Garigliano e del Canale Macchine Vecchie oltre al differente colore della sabbie di spiaggia ed alla morfologia dei cordoni dunari; anche studi precedenti, riportati nella relazione di prima fase, confermavano questo dato. Anche l’analisi quantitativa multitemporale degli effetti dei processi d’erosione sulla linea di riva, esperita nel corso degli studi della spiaggia emersa, conferma questo dato; essa ha evidenziato il complessivo maggiore arretramento del settore costiero settentrionale dell’area in studio, da relazionare alla vicinanza all’area di foce del Fiume Garigliano. Settore questo interessato da dinamiche morfoevolutive spinte e che in tempi storici ha sempre evidenziato una tendenza all’arretramento. L’entità dell’arretramento è valutabile nell’intorno degli 80-90 m nel tratto settentrionale della spiaggia emersa in studio; gradualmente verso Sud tende a diminuire attestandosi su valori medi di 35 m e massimi di circa 45 m, con un tasso di erosione, variabile tra 1.5 e 0.6 m/anno negli ultimi 56 anni.

Per quanto esposto nei paragrafi precedenti, tenendo conto dei risultati delle analisi morfologiche, sedimentologiche, meteomarine e idrodinamiche, si confermano anche tutte le altre conclusioni cui si era pervenuti nel corso dello studio della spiaggia emersa ove erano visibili numerosi aspetti sedimentari e morfologici riconducibili agli effetti dei processi esposti in questa sede nei paragrafi precedenti, e che nel complesso determinano erosione a carico del sistema costiero. Si ritiene infatti che i processi erosivi che attualmente si concentrano lungo la spiaggia sono da mettere in relazione al sistema morfologico dei fondali antistanti, al tipo di ondazioni che incidono sulla costa ed al sistema di transito sedimentario. Ondazioni e correnti che successivamente modellano il fondo creando il sistema di barre e truogoli, ridepositando parte dei sedimenti asportati. Gli effetti prevalenti degli eventi meteomarini sui sedimenti di fondo si concretizzano in una maggiore escavazione nel tratto più settentrionale, con limitate zone di accumulo nel settore meridionale. Da questo settore tuttavia vengono prelevati i sedimenti per i continui ripascimenti della spiaggia emersa, determinando nel complesso una variazione del budget sedimentario ed un’alterazione dei processi morfosedimentari. La maggiore escavazione nel tratto settentrionale, relazionata alla direzione e verso del drift litoraneo, spiegherebbe il maggior tasso di erosione cui è soggetta la spiaggia emersa.

Un ruolo non secondario, a carattere regionale, che determina arretramento della linea di riva è da attribuire anche alla realizzazione delle opere di difesa trasversali sulla costa laziale, che intercettano i sedimenti trasportati dalle longshore currents con direzione da NW verso SE.

Gli studi svolti hanno quindi consentito di confermare che il settore costiero in studio è interessato diffusamente da processi erosivi legati a processi naturali ma soprattutto a fattori antropici.

I processi naturali che determinano l’erosione costiera sono legati all’attività del moto ondoso e delle correnti in relazione all’apporto sedimentario del Fiume Garigliano ed alla morfologia della spiaggia, della costa e della piattaforma continentale; altri processi naturali sono da ascrivere a fenomeni di subsidenza della piana costiera del F. Garigliano. Non va inoltre trascurata l’azione delle variazioni climatiche che stanno interessando il nostro pianeta, con un complessivo aumento della temperatura globale, cui fa riscontro un innalzamento del livello del mare, valutato attualmente in circa 1-1,5 mm/anno, con graduale sommersione di porzioni di pianure costiere con quote basse.

Tra i fattori antropici che hanno favorito l’erosione costiera si inseriscono la riduzione degli apporti solidi fluviali causati dagli interventi di stabilizzazione e regolarizzazione delle sponde e dell’alveo fluviale, prelievi d’inerti in alveo e le attività che hanno ridotto l’erosione del suolo. Anche le opere a difesa del litorale posto a Nord dell’area in studio, intercettando i sedimenti coinvolti nel trasporto litoraneo, procurano un mancato rifornimento alla costa.

Inoltre, dal 1950/1960 circa, l’espansione urbanistica turistico-residenziale sulla fascia litoranea e le attività connesse alla balneazione hanno amplificato la vulnerabilità del settore costiero in studio introducendo importanti modificazioni ambientali e riducendo le aree di ruscellamento. Lo sbancamento delle dune costiere, serbatoi naturali di sedimenti sabbiosi, attuato per far posto ad insediamenti urbani e/o turistici ha inciso negativamente sul bilancio costiero. Similmente, anche il prelievo dei sedimenti di fondo marino a bassa profondità determina forti alterazioni sia nel bilancio sedimentario del sistema costiero che nelle modalità di rifrazione sul fondo del moto ondoso incidente; i sedimenti devono invece essere “relitti”, in pratica non coinvolti più nei processi sedimentari attuali, prelevandoli a profondità oltre il limite di chiusura della spiaggia sommersa, almeno oltre la profondità di 8-10 m circa. Ma a questo proposito è bene precisare che studi svolti in altre aree della costa tirrenica (ad es.  PENNETTA et al, 2012) e la normativa vigente indicano quale profondità di prelievo e asportazione dei depositi sabbiosi relitti per ripascimenti profondità maggiori della batimetrica dei 50 m.

Sui processi di erosione hanno altresì contribuito gli emungimenti dalle falde acquifere che inducono subsidenza della piana costiera e quindi ingressione del mare ed arretramento della linea di riva. Non va infine trascurato l’impatto determinato dalle modalità attraverso le quali avviene la fruizione turistica del sistema spiaggia – duna. La diffusione di solchi trasversali alla duna per l’accesso alla spiaggia, da cui si dipartono altre zone di calpestio diffuso, innesca importanti processi erosivi sia attraverso la distruzione della vegetazione e sia attraverso il rimaneggiamento diretto con conseguente riduzione di resistenza all’erosione sulla duna. Tali effetti sono ancora più evidenti nelle aree ove si registra anche il transito di autoveicoli. Non vanno infine tralasciate alcune pratiche negative quali la pulizia con mezzi meccanici e gli ampliamenti della spiaggia a discapito della duna, con forte riduzione in termini sia di resilienza che di potenziale capacità di accrescimento della duna stessa.

I processi naturali ed i fattori antropici che hanno agito su questo sistema costiero ne hanno di fatto alterato l’equilibrio, verificato che non si riscontrano quegli elementi geomorfologici e vegetazionali indicativi di un normale modello teorico di sviluppo della fascia dunare. L’arretramento della linea di riva ha determinato la migrazione verso l’interno del sistema spiaggia – duna con perdita di un enorme patrimonio culturale (cultural heritage). Gli importanti processi erosivi hanno inoltre determinato la contrazione, con intersezioni e sovrapposizioni, della normale seriazione di comunità vegetali psammofile gradualmente più strutturate. Emergono, inoltre, la determinante assenza dell’avanduna, deputata al rifornimento di sedimento delle altre dune, e l’anomala posizione avanzata della duna secondaria, che risulta peraltro in via di smantellamento con perdita progressiva dell’habitat a ginepro di notevole valore ambientale.

Alla luce di queste premesse vengono sicuramente confermate tutte le misure proposte a loro volta scaturite dallo studio della spiaggia emersa; in pratica misure destinate alla conservazione ed al ripristino del sistema dunale volte a preservarne l’integrità anche come argine contro le ingressioni marine e ad assicurarne la sussistenza come sistema fisico ed ecologico, soprattutto dal punto di vista vegetazionale. In particolare, la ricostruzione dei cordoni dunali e la realizzazione di opere volte a facilitarne l’attraversamento dovrebbero servirsi di tecniche naturalistiche in grado di favorire meccanismi di feedback positivo tra la componente biologica, sedimentologica e morfologica ed un aumento della resilienza e della stabilità dinamica del sistema spiaggia-duna quali ad esempio processi di deposizione delle sabbie, di ricarica della falda freatica, e di reinsediamento di specie pioniere. Tutte misure queste sulle quali si è basata la “Relazione analisi impatti della fruizione sugli  habitat” curata dall’Autorità di Bacino Nazionale Liri Garigliano e Volturno e condivisa dai partners scientifici della Provincia di Caserta: Seconda Università degli Studi di Napoli ed Università degli Studi di Napoli “Federico II”. In pratica i suggerimenti generali, contenuti in tale relazione, utili per la buona esecuzione, controllo e gestione delle azioni di recupero e risanamento degli habitat degradati, per la mitigazione degli impatti e le indicazioni di massima sulla tipologia, il dimensionamento e l’ubicazione degli interventi per la progettazione di cui all’Azione A6 da attuare nell’area SIC del Progetto “Pineta della Foce Garigliano” (IT8010019), sono congruenti con l’assetto geomorfologico e sedimentologico rilevato e risultano reciprocamente coerenti.

All A2 27_sedimentologica Definitiva 06062012All A2 28 morfologica definitiva 15062012

 

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Pineta della Foce del Garigliano: aspetti botanici

A cura di:

Assunta Esposito
Dipartimento di Scienze della Vita, Seconda Università di Napoli
Sandro Strumia
Dipartimento di Scienze Ambientali, Seconda Università di Napoli

Rilevamento Floristico-Sociologico

In una prima fase sono stati esaminati i documenti scientifici e di altra natura disponibili al fine di programmare le indagini sul territorio: l’analisi critica delle immagini aeree e delle informazioni riportate nel formulario del SIC hanno fornito le prime indicazioni sulla possibile localizzazione dei rilievi. Sopralluoghi preliminari in campo sono stati inoltre condotti per validare i risultati delle analisi critiche dei documenti pregressi e per individuare le aree da rilevare. Inoltre sono stati effettuati rilievi preliminari per verificare eventuali dubbi o difficoltà interpretative delle istruzioni relative al riempimento dei campi delle schede di rilevamento fornita dall’Università di Cagliari.

I rilievi floristico-vegetazionali sono stati effettuati in quelle fitocenosi che, sulla base dei rilievi preliminari, si configuravano come potenziali habitat, da confermare grazie proprio ai rilievi floristico-vegetazionali.

I rilievi sono stati fatti utilizzando il classico metodo fitosociologico e compilando le “Schede di rilevamento floristico-sociologico” predisposte dall’Università di Cagliari. I rilievi sono stati distribuiti spazialmente in modo da comprendere nella maniera più esaustiva tutte le fitocenosi che rappresentasserro potenziali habitat; considerato il tipo di rilievo e le caratteristiche del sito, per il campionamento è stato utilizzato un disegno randomizzato a blocchi, dove ogni blocco era rappresentato da una comunità vegetale che per complessità strutturale e composizione floristica costituiva un’unità di campionamento rilevabile. Altri rilievi sono stati condotti in habitat non ascrivibili a quelli dell’All. I della Direttiva CEE 92/43, ma ritenuti interessanti in quanto comunque in contatto catenale in aree a ridosso della pineta con vegetazione dominata da terofite.

Per permettere l’ interpolazione dei dati floristico-vegetazionali con quelli di altra natura, parte dei rilievi sono stati eseguiti, dove possibile, in corrispondenza dei rilievi per le schede “rilevamento – taxon”; in particolare, alcuni rilievi sono stati effettuati per caratterizzare i popolamenti in cui risultava presente Daphne sericea Vahl, entità ritenuta interessante dal punto di vista conservazionistico in quanto citata nella Lista Rossa per la Campania anche se col valore (LR) (Conti et al., 1997).

Tutti i rilievi sono stati georeferenziati utilizzando un GPS Garmin E-trex H.

Le piante non identificabili in campo sono state raccolte e determinate in laboratorio con l’ausilio di uno stereomicroscopio Leica MZ 12,5 ed utilizzando le chiavi dicotomiche di Pignatti (1982) e Tutin et al (1964-80; 1993).

Tutti i campioni raccolti sono stati essiccati e sono attualmente conservati presso l’erbario della Seconda Università di Napoli (CASERTA). I dati raccolti sono stati informatizzati utilizzando lo stesso foglio di lavoro Excel utilizzato per il rilevamento in campo.

Per effettuare tutte le elaborazioni successive, i dati floristici dei rilievi della vegetazione sono stati inseriti anche nel geodatabase relazionale sviluppato presso il Laboratorio di Botanica Sistematica ed Ambientale del Dipartimento di Scienze Ambientali della Seconda Università degli Studi di Napoli (Santangelo et al., 2008). In questa banca dati floristica risultano disponibili i dati tassonomici relativi a tutte le entità della flora campana secondo quanto proposto nella Check-list della Flora Vascolare Italiana (Conti et al., 2005; 2007) ed i relativi dati distributivi (Santangelo, 2005; Conti et al., 2007); sono inoltre riportate le informazioni relative al loro eventuale interesse conservazionistico, in accordo con Conti et al. (1997), e con le normativo sia a livello internazionale (inclusione negli allegati alla convenzione di Berna e/o alla direttiva CEE 92/43) che locale (legge regionale 40/94). Nel database sono infine disponibili le informazioni di tipo corologico ed ecologico (Pignatti, 1982), le fonti bibliografiche relative ai dati distributivi sulla flora della regione Campania pubblicate dal 1950 in poi (Scoppola e Magrini, 2005) e più antiche (Del Guacchio e Gargiulo, 2006). Il database così strutturato permette una veloce verifica dell’interesse scientifico e protezionistico di elenchi floristici ed una veloce realizzazione di elaborazioni di vario tipo, tra cui anche matrici di dati multivariati.

I dati informatizzati sono stati sottoposti ad analisi statistica utilizzando tecniche di analisi multivariata utilizzando il software SYN-TAX 2000 (Podani, 2001). Per la classificazione è stato utilizzato l’indice di Jaccard su base qualitativa come indice di dissimilarità ed il legame medio (UPGMA) come criterio agglomerativo. Le informazioni su caratteristiche ambientali, struttura della comunità vegetale, forme biologiche, corotipi e le informazioni sull’eventuale grado di protezione delle singole specie sono state utilizzate come strumento interpretativo dei diagrammi ottenuti.

I dati raccolti sono stati analizzati per caratterizzare in termini sintassonomici le fitocenosi rilevate. I risultati sono stati infine confrontati con le descrizioni degli habitat riportati nell’ “Interpretation Manual of European Union Habitats – EUR 27” del luglio 2007 e nelle schede del “Manuale Italiano di interpretazione degli habitat della Direttiva 92/43/CEE” (disponibile sul sito ufficiale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare), per confermare da una parte la presenza degli habitat già segnalati ed eventualmente riconoscere e segnalare la presenza di nuovi habitat.

 Rilevamento taxon

Questa attività ha come obiettivo lo studio fenologico/demografico di specie strutturali degli habitat selezionati e che rivestano particolare importanza come specie endemiche e/o di interesse fitogeografico a livello locale. Ciò allo scopo di poterne valutare lo stato di conservazione ed identificare con maggiore dettaglio quantitativo e qualitativo le cause di degrado degli habitat e pianificare con maggiore precisione le azioni di conservazione in situ necessarie. Le analisi fenologiche e demografiche sono finalizzate ad individuare i trend demografici delle singole popolazioni, in particolare i tassi di natalità, mortalità e recruitment oltre alla distribuzione spaziale del popolamento. Il corretto funzionamento di tutto il ciclo biologico è fondamentale per garantire la riproduzione sessuale e, quindi, la conservazione della specie nel tempo. E’ sufficiente, infatti, che una sola delle fasi (fioritura, impollinazione, fecondazione, disseminazione, germinazione) venga in qualche modo alterata per avere una ripercussione negativa sull’efficienza della riproduzione e quindi sulla possibilità di conservazione di una determinata specie.

A tale riguardo i rilievi che possano fornire informazioni utili ed esaustive devono essere condotti su un intervallo temporale che copra almeno un intero ciclo vitale della specie oggetto di interesse. Tuttavia è indispensabile condurre indagini su più cicli consecutivi al fine di poter meglio valutare e discriminare se le eventuali cause di alterazione delle varie fasi del ciclo vitale di una specie siano da attribuire a fattori climatici e/o antropici

Per queste ragioni e tenuto conto dei tempi limitati per condurre tali indagini si è fatto riferimento ai dati floristici parziali disponibili al momento di avvio della ricerca al fine di selezionare le specie più rappresentative e che rispondessero ai requisiti di interesse conservazionistico così come previsto dal progetto.

Lo studio ha previsto, quindi, una prima fase di analisi delle informazioni raccolte da questo gruppo di lavoro in una ricerca avviata di recente (Croce et al. 2009).. Per quanto riguarda le specie caratteristiche degli habitat lo studio è stato condotto su: Juniperus oxycedrus L. macrocarpa (Sibth. & Sm.) Neilr. e Crucianella maritma L. Per quanto riguarda le specie di interesse fitogeografico l’analisi è stata condotta su Daphne sericea Vahl, specie arbustiva ritenuta interessante dal punto di vista conservazionistico in quanto citata nella Lista Rossa per la Campania anche se col valore (LR) (Conti et al., 1997).

Per il rilevamento della Daphne sericea l’analsi del taxon e dello stato fenologico è stata condotta, ogni mese, su tutti gli individui presenti nel SIC e la cui posizione è stata georeferenziata utilizzando un GPS Garmin iQUE 3600 consentendo, in questo modo, di individuare con precisioni ogni individuo nei successivi campionamenti e di condurre un’analisi della distribuzione spaziale del popolamento e dei fattori ambientali stazionali al fine di individuare eventuali fattori critici.

Parallelamente ai rilievi in campo è stata condotta una ricerca bibliografica finalizzata alla individuazione di eventuali dati di letteratura relativi alla distribuzione, biologia ed ecologia di Daphne sericea.

Per quanto riguarda Crucianella maritima L. si è proceduto ad individuare e georeferenziare le poche stazioni presenti nel SIC e costitite da singoli indiviui o gruppi di poche unità utilizzando un GPS Garmin iQUE 3600 per consentire anche in questo caso un’analisi spaziale del popolamento estremamente rarefatto e discontinuo. Le osservazioni fenologiche sono state condotte su un campione di 10 individui selezionati a random nell’ambito delle piccole stazioni rilevate lungo tutta l’area del SIC.

Per quanto riguarda Juniperus oxycedrus L. macrocarpa (Sibth. & Sm.) Neilr. sono stati effettuati rilievi del taxon e della fenologia all’interno di tre aree di rilievo permanenti di 50 m x 50m selezionate nell’ambito dell’habitat occupato dal ginepreto come di seguito indicato: 1) nella parte più a nord prossima alla foce del Garigliano; 2) nella zona centrale in prossimità del villaggio internazionale; 3) nella parte più a sud in prossimità del villaggio svedese.

Risultati

Grazie all’attività di rilevamento in campo sono stati effettuati 83 rilievi floristico-sociologici. L’informatizzazione dei dati dei rilievi ha generato una matrice di 83 rilievi x 187 specie. A queste 187 specie sono state aggiunte altre 68 entità ritrovate nel sito al di fuori degli habitat indagati o nell’ambito delle ricerche svolte in precedenza da questo gruppo di lavoro.

Elenco floristico

In totale sono state rilevate 255 entità. Una verifica dell’entità ritrovate permette di affermare che nessuna delle entità rilevate è compresa nell’Allegato II della Direttiva CEE 92/43.

Nelle tabelle 4 e 5 sono riportati rispettivamente gli spettri biologico e corologico.

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Lo spettro biologico evidenzia il carattere di forte mediterraneità del sito con una elevata percentuale di Terofite (42.3%); ben rappresentata anche la componente di Emicriptofite (22.0%) il cui significato potrebbe essere legato più all’uso del territorio piuttosto che a motivi legati al clima. L’analisi dello spettro corologico fornisce una conferma a questa prima interpretazione dei dati: la componente Mediterrannea s.l. (Steno- ed Euri-Medit.) supera il 50% del totale delle entità rinvenute, confermando la coerenza della componente floristica con le caratteristiche climatiche dell’area. Nello stesso tempo però è opportuno sottolineare che la terza tipologia di corotipo in ordine di frequenza percentuale è rappresentato dalle specie ad Ampia Distribuzione (22.7%) evidenziando la profonda antropizzazione dell’area. Infatti tra queste si registrano molte entità tipiche di aree ruderali o infestanti delle colture come Chenopodium album L. subsp. album, Portulaca oleracea L. s.l., Fumaria officinalis L. subsp. officinalis, Aphanes arvensis L., Tribulus terrestris L., Euphorbia helioscopia L. subsp. helioscopia, Daucus carota L. subsp. carota, Convolvulus arvensis; numerose anche le specie esotiche coltivate come Eucalyptus camaldulensis Dehnh. o Acacia retinoides Schltdl., quest’ultima anche con caratteristiche di invasività e spontaneizzazione evidente. Particolare rilevanza assume la presenza di Carpobrotus acinaciformis (L.) L. Bolus, riconosciuta come estremamente pericolosa per la conservazione ed il mantenimento delle comunità vegetali delle spiagge sabbiose, in quanto capace di formare densi tappeti molto resistenti, a scapito delle specie autoctone.

Nell’ area d’indagine sono state rilevate anche 7 entità endemiche; si tratta di:

  • Dianthus balbisii Ser. subsp. liburnicus (Bartl.) Pignatti
  • Dianthus carthusianorum L. subsp. tenorei (Lacaita) Pignatti
  • Biscutella maritima Ten.
  • Senecio gibbosus (Guss.) DC. subsp. bicolor (Willd.) Peruzzi, N.G. Passal. & Soldano
  • Phleum hirsutum Honck. subsp. ambiguum (Ten.) Tzvelev
  • Ophrys exaltata Ten. subsp. tyrrhena (Gölz & H.R. Reinhard) Del Prete
  • Ophrys crabronifera Mauri

Due entità presenti nell’elenco risultano inoltre inserite nella lista rossa regionale con i seguenti valori di vulnerabilità:

  • Daphne sericea Vahl (LR)
  • Dianthus balbisii Ser. subsp. liburnicus (Bartl.) Pignatti (LR)

 Relativamente al valore protezionistico bisogna inoltre sottolineare che oltre alle due entità citate, nell’area indagata sono state ritrovate altre 14 entità appartenenti alla famiglia delle Orchidacee e come tali incluse nell’Allegato della L.R. 40/94 e sottoposte a vincolo di tutela; altre specie rinvenute nel corso della ricerca che compaiono nello stesso allegato sono Typha latifolia L. e Laurus nobilis L., anche se per quest’ultima specie andrebbe verificato il reale significato della sua presenza.

Rilevamento taxon

Daphne sericea Vahl (Fig. 2), appartente alla famiglia delle Thymeleaceae, è specie rara in quanto presente in poche località della regione mediterranea orientale ed in Italia a Marittimo, nel Gargano, in Abruzzo presso Popoli e Sulmona, sulle Ponziane ed in alcune zone della macchia tirrenica, dalla maremma toscana al napoletano (Pignatti, 1982). Le popolazioni residuali della Campania sono attualmente segnalate solo nel SIC Pineta di Foce Garigliano e all’interno della Riserva Naturale di Castelvolturno (CE) ( Croce et al. 2009; Esposito et al. 2009).

Studi recenti sulla biologia fiorale ed ecologia di popolazioni campane e toscane (Aronne, e Wilcock 1996; Martinez-Pallè, E. 1998; Barbi, 2008). hanno evidenziato che il ciclo riproduttivo di D. sericea comincia all’inizio del mese di marzo, con lo sviluppo delle gemme fiorali, e si conclude nel mese di giugno, con la maturazione dei frutti. I fiori, raggruppati in fascetti apicali, sono monoclini con caratteristica colorazione rosa brillante e molto profumati per essere fortemente attrattivi per molti tipi di insetti sia diurni che notturni (Aronne, e Wilcock 1996). Il frutto si sviluppa velocemente fino ad avere, a maturazione avvenuta, una colorazione arancione intenso ed essere disperso sia da uccelli che formiche (Barbi, 2008). Questi studi hanno evidenziato nel ciclo riproduttivo di D. sericea fasi critiche rappresentate dalla scarsa produzione di frutti maturi, dalla germinazione dei semi e dal successivo attecchimento delle plantule.

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Nel corso dello studio da noi condotto, l’analsi di rilevamento in campo ha portato all’individuazione, su tutta l’area occupata dall’habitat 2250* – Dune costiere con Juniperus spp., di 45 individui adulti.

Tale elaborazione mostra in modo evidente una chiara distribuzione a macchia (patchiness) a tratti puntiforme alternati a piccoli nuclei di una decina di individui o a settori con completa assenza di individui. Questa distribuzione spaziale fortemente discontinua è certamente attribuibile, in primo luogo, a cause antropiche legate principalmente, in alcuni settori, al forte rimaneggiamento, ai fini dell’insediamento di lidi balneari, dell’habitat idoneo a garantire la presenza di tale specie

Viceversa l’estrema rarefazione del popolamento potrebbe essere attribuita alle mutate condizioni ecologiche idonee alla svolgimento dell’intero ciclo vitale della specie. I dati di letteratura citati in precedenza hanno evidenziato una criticità nella fase di germinazione e attecchimento delle plantule da associare con molta probabilità ad un progressivo inaridimento delle condizioni ambientali. Del resto già Tenore nel 1830 rese evidente il fatto di ritrovare questa specie sempre associata alla presenza di acqua ed in particolare presso le sponde dei ruscelli e nelle zone paludose. Considerata la vasta opera di bonifica dei litorali paludosi avvenuta attorno agli anni ’50, si può ipotizzare che la distribuzione di questa specie, già limitata all’inizio del XX secolo, si sia ulteriormente e fortemente ridotta a causa delle opere di drenaggio dei suoli e, negli ultimi decenni, amplificata a causa degli insediamenti turistici lungo la fascia litoranea.

La delicatezza di questi ambienti fa sì che una loro frammentazione anche parziale e localizzata, porti al progressivo degrado dell’intero ecosistemi. In particolare tagli nel cordone l’apertura di passaggi verso la spiaggia, fanno sì che i venti salmastri e le grandi masse di sabbie sciolte, non più frenati dalle strutture sabbiose consolidate della prima duna, si spostino nell’entroterra minando l’integrità della vegetazione retrostante e nel caso specifico dell’habitat in cui è presente Daphne sericea.

Il delicato equilibrio è inoltre confermato, anche nel nostro caso, dall’aver rilevato su tutta l’area indagata la completa assenza di individui giovani ed in un solo caso la presenza di una plantula.

Per quanto riguarda la fenologia sono stati raccolti dati da ottobre 2009 ad agosto 2010 che hanno permesso di analzzare gli andamenti mensili sulle caratteristiche della biologia come riportato nei grafici seguenti:

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I dati evidenziano che la fase più critica del ciclo vitale è rappresentata dalla fruttificazione. E’ molto probabile, cosi come già evidenziato dagli studi condotti da Scippa 2008, che la particolare distribuzione del popolamento possa indurre gli impollinatori a visitare piante della stessa popolazione diminuendo così il flusso genico inter-popolazione e la variabilità genetica intra-popolazione. Ciò unitamente alle ridotte dimensioni della popolazione costituisce una minaccia evidente della possibilità di sopravvivenza di tale specie.

In tale ottica azioni mirate alla salvaguardia e conservazione di tale entità si configurano come obiettivi prioritari da porre in essere in tale progetto. Tra esse le misure di intervento ipotizzabili prevedono: il prosieguo delle attività di rilevamento della fenologia della specie ed in particolare del germoplasma; l’allestimento di un vivaio per la coltivazione ex situ e la produzione di piantine da utilizzare in una fase di arricchimento del popolamento soprattutto nelle aree più povere; l’utilizzo del materiale coltivato anche a scopo ornamentale dato l’idoneo portamento della specie. Per quanto riguarda Crucianella marittima la georeferenziazione dei rilievi evidenzia una distribuzione continua su tutta l’area sebbene le stazioni risultino fortemente compromese e costituite da individui presenti a piccoli gruppi o in aluni casi isolati. Per quanto riguarda la fenologia sono stati raccolti dati da gennaio 2010 ad agosto 2010 che hanno permesso di analizzare gli andamenti mensili sulle caratteristiche della biologia fiorale come di seguito riportato:  grafico

I dati evidenziano una discreta presenza di fioritura caratterizzata però da una scarsa produzione di fiori e successivamente di frutti maturi. Va sottolineato tuttavia che tali dati non sono esaustivi poiché relativi ad un solo ciclo annuale e quindi espressione delle caratteristiche climatiche osservate nell’anno ri rilevamento.

Per quanto riguarda Juniperus oxycedrus L. macrocarpa (Sibth. & Sm.) Neilr. Il rilevamento del taxon condotto da ottobre 2009 ad agosto 2010 ha evidenziato che nelle aree di rilievo permanente la presenza di giovani plantule si rileva in numero piuttosto limitato nel periodo invernale primaverile ma con una successiva mortalità nel periodo estivo. Per quanto riguarda la fenologia sono stati raccolti dati da ottobre 2009 ad agosto 2010 che hanno permesso di analizzare gli andamenti mensili come di seguito riportato. Pages from ALL PR2 1 A1 CE-2_Page_4Pages from ALL PR2 1 A1 CE-2_Page_5

I dati fenologici non evidenziano criticità nella produzione di fiori e successivamente di frutti maturi . Anche in questo caso va sottolineato tuttavia che tali dati non sono esaustivi poiché relativi ad un solo ciclo annuale e quindi espressione delle caratteristiche climatiche osservate nell’anno ri rilevamento.

 Conclusioni

Le analisi hanno permesso di caratterizzare le fitocenosi indagate e di evidenziarne lo stato di salute; inoltre alcuni sono emersi alcuni aspetti estremamente interessanti ai fini gestionali:

  • La componente floristica appare alterata da un elevato numero di specie ad Ampia distribuzione (22,7 % del totale) che testimoniano il forte grado di antropizzazione dell’area. Tra queste specie numerose sono quelle ruderali ed infestanti che contribuiscono ad abbassare la naturalità dell’area; ai fini gestionali preme sottolineare la presenza di alcune avventizie come Carpobrotus acinaciformis (L.) L. Bolus, le cui proprietà invasive possono contribuire ad alterare profondamente le comunità psammofile autoctone, mettendo in pericolo la sopravvivenza degli habitat a dominanza di specie erbacee. La presenza e la distribuzione spaziale di questa specie andrebbe monitorata nel tempo per verificarne la diffusione nell’area. Questa come altre specie coltivate dovrebbero lentamente essere eliminate per aumentare la naturalità dell’area.
  • Nell’area sono state rinvenute 7 entità endemiche o subendemiche a testimoniare il significato dell’area in termini di conservazione della biodiversità; due entità (Daphne sericea Vahl e Dianthus balbisii Ser. subsp. liburnicus (Bartl.) Pignatti risultano inoltre inserite nella lista rossa regionale, entrambe con valore di vulnerabilità (LR).
  • la vegetazione psammofila più prossima al mare (ascrivibile agli habitat: 2110 – Dune mobili embrionali; 1210 – Vegetazione annua delle linee di deposito marine) ma anche quella che dovrebbe occupare le aree prossime alle dune più stabilizzate (2210 – Dune fisse del litorale (Crucianellion; 2230 Dune con prati dei Malcolmietalia), è ridotta a piccoli lembi ed appare fortemente alterata sia in termini di composizione floristica che strutturale, al punto che in alcuni casi se ne riconosce più la potenzialità che la reale presenza.

 La ricerca ha comunque permesso di riconoscere un habitat (2230 Dune con prati dei Malcolmietalia), non precedentemente segnalato nel formulario del SIC.

  • L’ habitat 2270* – Dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster possiede la copertura percentuale più elevata. Malgrado si tratti chiaramente di un rimboschimento, la sua stessa estensione impone alcune considerazioni di carattere gestionale. Anche se sulla base di quanto indicato nel Manuale Italiano, la gestione di questo habitat è piuttosto controversa, si ritiene che nel caso in questione andrebbe cercato un giusto equilibrio tra la conservazione di questo habitat e la sua evoluzione verso altri tipi di habitat. In quest’ottica sarebbe necessario redigere un piano di gestione forestale che da un lato garantisca la sopravvivenza del soprassuolo forestale, ma dall’altro programmi la riduzione della densità degli individui attraverso tagli controllati che favoriscano il recupero della vegetazione autoctona del sottobosco. Altro elemento da considerare è l’attuale assenza di qualsiasi forma programmata di manutenzione del bosco che ha determinato l’accumulo di notevoli quantità di lettiera e di necromassa di varia dimensione e spessore. Questo materiale morto rappresenta un potenziale combustibile, che aumenta il rischio di incendi incontrollabili e particolarmente distruttivi; la rimozione, anche attraverso l’uso di tecniche di fuoco prescritto, della necromassa dovrebbe rappresentare una pratica gestionale utilizzata con regolarità ai fini della salvaguardia dell’intero habitat e di quelli limitrofi.
  • Le comunità presentano una forte mosaicizzazione al punto che spesso elementi floristici tipici di un’associazione vegetale – habitat si rinvengono ,col significato di specie ingressive, all’interno dei rilievi effettuati.
  • Questa frammentazione del pattern orizzontale determina spesso la difficile attribuzione di una comunità ad un’habitat in quanto oltre ad essere presenti le specie caratteristiche, se ne rinvengono altre che talvolta testimoniano una diversa facies evolutiva dell’habitat (sia in termini degradativi che aggradativi), oppure la possibile presenza di un altro habitat in contatto catenale.
  • I motivi delle alterazioni osservate possono essere ricondotti, fondamentalmente, a processi di erosione e calpestio diffusi in tutta l’area; queste azioni contribuiscono a realizzare un effetto isola, dove la normale seriazione della vegetazione anzicchè seguire la direzione perpendicolare alla linea di costa (condizione naturale in assenza di disturbi), si presenta più con una disposizione “radiale” rispetto a queste “isole” più o meno grandi di vegetazione in cui le porzioni centrali sono occupate da vegetazione a dominanza di specie legnose ed ai bordi si incontrano fitocenosi sempre meno strutturate ed ospitanti elementi floristici tipici delle fitocenosi pioniere delle sabbie.
  • In tutta l’area risulta evidente l’impatto antropico dovuto presumibilmente alle attività gestionali connesse con il turismo di tipo balneare. Queste attività comprendono sia quelle che insistono sull’area nel momento dell’uso a fini balneari (calpestio da parte dei turisti con evidente conferma o allargamento delle aree di discontinuità tra comunità vegetali, occupazione con strutture più o meno fisse delle aree di pertinenza della vegetazione delle dune), ma anche e soprattutto quelle di tipo preparatorio. Queste ultime infatti spesso determinano effetti non osservabili immediatamente, ma a lunga scadenza e proprio per questo talvolta difficilmente recuperabili; a titolo di semplice esempio si vuole ricordare la pratica diffusa della “pulitura” delle spiagge (in particolare della fascia più prossima al mare in quanto di maggiore interesse ai fini della balneazione) attraverso mezzi meccanici che alterano non solamente la vegetazione esistente, ma anche quella futura attraverso la rimozione di quelle unità di dispersione (frutti, semi, propaguli) essenziali per la sopravvivenza delle specie annuali, ma anche perenni. Spesso tutto ciò viene compiuto dai gestori delle attività turistiche in assoluta buona fede in quanto essi stessi non sono consapevoli dell’ecologia degli ecosistemi che essi sono chiamati a gestire e pertanto dei danni (a volte irreparabili) che causano con pratiche errate. In questo senso sarebbe assolutamente auspicabile prevedere tra le azioni volte alla conservazione degli habitat il coinvolgimento dei gestori di queste attività attraverso corsi di informazione – formazione che li rendano pertecipi del processo di conservazione non solo degli habitat, ma anche di tutto il sistema dunale che per loro rappresenta una risorsa economica prioritaria.
  • L’analisi del taxon Daphne sericea ha portato all’individuazione, su tutta l’area occupata dall’habitat 2250* – Dune costiere con Juniperus spp., di 42 individui adulti e di assenza di individui giovani e plantule.
  • Al numero piuttosto esiguo di individui che costituiscono il popolamento di Daphne sericea si associa una distribuzione spaziale a macchia (patchiness) con tratti a presenza puntiforme alternati a piccoli nuclei di una decina di individui o a settori con completa assenza di individui.
  • la distribuzione spaziale fortemente discontinua di Daphne sericea è certamente attribuibile, in primo luogo, a cause antropiche legate principalmente, in alcuni settori, al forte rimaneggiamento, ai fini dell’insediamento di lidi balneari, dell’habitat idoneo a garantire la presenza di tale specie
  • Viceversa l’estrema rarefazione del popolamento potrebbe essere attribuita alle mutate condizioni ecologiche idonee alla svolgimento dell’intero ciclo vitale della specie ed in particolare ad un progressivo inaridimento delle condizioni ambientali.
  • La frammentazione anche parziale e localizzata dell’habitat, in particolare tagli l’apertura di passaggi verso la spiaggia, possono costituire una seria minaccia all’integrità della vegetazione retrostante e nel caso specifico dell’habitat in cui è presente Daphne sericea.
  • La scarsa rappresenatività e forte compromissione del popolamento a Crucianella marittima che evidenzia una bassa produzione di frutti maturi e l’assenza di plantule.
  • L’assenza, almeno per il periodo di rilevamento indagato, della rinnovazione dei popolamenti ad Juniperus oxycedrus L. macrocarpa (Sibth. & Sm.) Neilr evidenzia anche in questo caso una forte alterazione dell’habitat imputabile in parte alla forte erosione del litorale che espone questi popolamenti a condizioni edafiche critiche.
  • Azioni mirate alla salvaguardia e conservazione di tale entità si configurano come obiettivi prioritari da porre in essere in tale progetto. Tra esse le misure di intervento ipotizzabili prevedono: il prosieguo delle attività di rilevamento della fenologia della specie ed in particolare del germoplasma; l’allestimento di un vivaio per la coltivazione ex situ e la produzione di piantine da utilizzare in una fase di arricchimento del popolamento soprattutto nelle aree più povere; l’utilizzo del materiale coltivato anche a scopo ornamentale dato l’idoneo portamento della specie.

 

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Pineta della Foce del Garigliano: esempi significativi di pressioni-minacce-criticità e impatti

A cura di:

Micla Pennetta(1), Vera Corbelli(2), Vincenzo Gattullo(3), Raffaella Nappi(2)

(1) Dipartimento di Scienze della Terra – Università degli Studi di Napoli “Federico II”; Largo S. Marcellino, 10. 80138 – Napoli – Italy – Email: pennetta@unina.it

(2) Autorità di Bacino Nazionale dei Fiumi Liri-Garigliano e Volturno; Viale Lincoln 81100 – Caserta – Italy – Email: raffaella.nappi@autoritadibacino.it

(3) c/o Autorità di Bacino Nazionale dei Fiumi Liri-Garigliano e Volturno; Viale Lincoln 81100 – Caserta – Italy – Email: v.gattullo@libero.it

Sono stati studiati in particolare i caratteri sedimentari, morfologici e morfoevolutivi del sistema costiero emerso (Pennetta et alii, 2011a) e ricostruite le più importanti trasformazioni nell’uso del suolo principalmente legate ad attività turistico-commerciali e agli interventi di bonifica. Ciò ha consentito di individuare e distinguere in modo chiaro gli effetti dei singoli processi attivi di cui, ricordiamo tra i principali, l’erosione a carico della spiaggia e del sistema dunare e gli impatti antropici sulle dune con compattazioni, escavazioni, incisioni per calpestio e transito di veicoli, inneschi o accentuazione di processi di deflazione eolica, spianamenti per azioni di pulizia meccanica. Sono state rilevate inoltre significative irregolarità nella seriazione delle comunità vegetali psammofile ed immissioni di specie alloctone. Il contributo riveniente da tali indagini è stato applicato alla valutazione dell’indice di vulnerabilità del sistema dunare e della carrying capacity della spiaggia, utile per valutare l’attuale grado di compromissione del sistema ambientale, facilitare la definizione delle priorità degli interventi di conservazione ed individuare misure correttive finalizzate ad una efficace gestione della spiaggia e del suo sistema dunare, stabilendo anche l’origine dell’alterazione immessa nel sistema.

 STUDI ESEGUITI

Il tratto litoraneo del SIC, orientato NW-SE, ha una lunghezza di circa 2.720 m, sviluppandosi con andamento nel complesso rettilineo e continuo; solo nel tratto meridionale è presente, quale elemento di discontinuità, un canale di bonifica (Macchine Vecchie). Esso s’inserisce nel Golfo di Gaeta, un’ampia ansa litoranea estesa per circa 65 Km, concaratteri costieri nel complesso omogenei; lungo la costa si sviluppano spiagge sabbiose, anche di notevole estensione, cui si intercalano tratti limitati di costa alta e rocciosa.

Il sistema dunare del SIC comprende una serie di cordoni coalescenti, sub-paralleli alla linea di riva, messi in posto nel corso della trasgressione versiliana, con un’ampiezza trasversale complessiva di circa 400 m. Il fronte del sistema risulta in gran parte costituito da lembi di avandune embrionali addossate a dune secondarie riattivate principalmente da processi di arretramento per erosione costiera e dalle manomissioni antropiche, cui seguono i cordoni della duna terziaria sui quali negli anni ’30 è stata impiantata la pineta costiera; più all’interno sono presenti cordoni più antichi ormai pressoché completamente spianati (PENNETTA et alii, 2011a).

La spiaggia sabbiosa, con ampiezze comprese tra 10 e 20 m, mostra caratteri sedimentologici e geomorfologici nel complesso omogenei; di contro si rilevano aspetti ambientali, servizi e gestione molto differenziati. Pertanto, al fine di rendere efficace la valutazione delle potenziali interferenze tra fruizione turistico–balneare e caratteristiche e dinamiche ambientali, si è ritenuto utile suddividere il litorale considerato in settori omogenei sotto gli aspetti richiamati (Fig. 2).

impatti1

Fig. 2 – Inquadramento dell’area su ortofoto Regione Campania (Progetto ORCA), 2005. Sono riportati il perimetro del SIC “Pineta della Foce del Garigliano” (linea verde) e l’individuazione dei settori omogenei ai fini degli studi sulla carrying capacity. I riquadri delimitano le aree campione in cui è stato valutato l’indice di vulnerabilità dunare (DVI).

Le analisi e misure eseguite hanno nel complesso compreso:

– analisi in ambiente GIS di cartografie, foto aree, ortofoto, dati satellitari; gli studi hanno incluso anche il rilievo dell’evoluzione dell’area nell’arco temporale tra il 1897 ed il 2010, utilizzando in particolare dati relativi agli anni 1897, 1954, 1966, 1975, 1990/1, 1998, 2005/06, 2007, 2009, 2010 con scale comprese tra 1: 5.000 e 1: 33.000;

  • – analisi delle variazioni della linea di riva nell’arco di tempo considerato;
  • – analisi geomorfologica evolutiva del sistema dunare e di spiaggia, supportata da fotointerpretazione su coppie di immagini stereoscopiche (voli 1954, 1991, 1998);
  • – analisi sulla copertura vegetale con osservazioni su tipo, distribuzione, sue condizioni ed evoluzione nel tempo;
  • – analisi delle modificazioni dell’uso del suolo, delle infrastrutture e costruzioni, della viabilità e sentieramenti, dei parcheggi e della rete idraulica naturale ed artificiale;
  • – acquisizione, valutazione, misure indirette e dirette di parametri relativi al tratto costiero ed alla componente dunare di tipo morfo-sedimentario e meteo-marino;
  • – analisi specifica degli impatti diretti ed indiretti e in particolare di quelli da fruizione;
  • – specifiche misure e valutazioni di ambiti morfologici e parametri morfometrici della spiaggia e della duna e loro evoluzione stagionale per il periodo di studio (2009 e 2010);
  • – misure relative alla distribuzione spaziale e oraria, alle modalità di accesso e fruizione degli utenti del turismo balneare; per l’analisi delle presenza sulla spiaggia sono state effettuate osservazioni ottiche discrete nei mesi di luglio ed agosto 2009 e 2010 con rilievi realizzati utilizzando 6 postazioni georeferenziate;
  • – verifica dei servizi offerti dai privati e dall’amministrazione pubblica per la fruizione turistica.

 INDICE DI VULNERABILITÀ DEL SISTEMA DUNARE

La vulnerabilità di un sistema costiero (es. Dias et alii, 1994; Ley Vega De Seoane et alii, 2007; Martínez Vázquez et alii, 2006; Williams et alii, 2001, 2011) può essere valutato attraverso l’indice di vulnerabilità che sintetizza in maniera quantitativa la risposta del sistema dunare ai diversi processi costieri ed agli effetti della pressione antropica (fra gli altri ad es. il turismo Valléset alii, 2011) che interagiscono e determinano l’evoluzione della linea di riva e del fronte dunare. I principali indicatori della vulnerabilità delle dune sono stati organizzati, in letteratura, in tre checklists da PEREIRA et alii (2000), Garcia-Mora et alii (2001), Davies et alii (1995).

L’indice di vulnerabilità delle dune (Dune Vulnerability Index – DVI) consente di valutare lo stato di degrado/naturalità attraverso una stima delle caratteristiche di resilienza geologica ed ecologica, dei processi legati al moto ondoso e al vento, delle pressioni antropiche capaci di influire sulla vulnerabilità del sistema dunare. La vulnerabilità del sistema dunare è stata qui intesa nel suo senso letterale, quindi come suscettibilità del sistema stesso all’erosione per effetto di attività antropiche o di un processo naturale. Per resilienza del sistema dunare va inteso la capacità di autoriparazione del sistema e quindi di riequilibrio nei confronti dei processi che determinano l’evoluzione della fascia costiera.

L’indice di vulnerabilità del sistema dunale (DVI) applicato in questa ricerca (Garcia-Mora et alii, 2001) considera le condizioni del sistema in base a n.5 classi principali di parametri (Tab. 1) identificati come i principali indicatori della vulnerabilità delle dune costiere, quali i caratteri geomorfologici e sedimentari, gli effetti della dinamica marina, le condizioni della vegetazione ed, infine, gli effetti dell’attività antropica. Le misure dei parametri vengono effettuate per strisce di litorale omogenee per caratteristiche morfo-sedimentarie, ecologiche e antropiche. Nell’area in studio è stato calcolato l’indice di vulnerabilità per due aree campione (Fig. 2): una all’interno del settore settentrionale e l’altra di quello meridionale. Per la sua stima sono state effettuate valutazioni semi-quantitative di n. 54 variabili che costituiscono i principali parametri relativi alla componente dunare della spiaggia, raggruppate come riportato in Tab.1.

tabella1

Tabella 1 – Principali indicatori della vulnerabilità delle dune costiere.

Ad ogni variabileè associato un punteggio compreso tra 0 e 4, cui corrisponde un ordine crescente di vulnerabilità. Per ogni classe viene calcolato un indice di vulnerabilità parziale (IVp), espresso come rapporto tra la sommatoria dei punteggi assegnati alle variabili della classe e il punteggio totale massimo raggiungibile nella classe.

L‘indice di vulnerabilità complessivo è calcolato come media dei cinque indici parziali, assumendo quindi valori compresi tra 0 e 1, dove al valore più alto corrisponde una maggiore compromissione e perdita di capacità di riequilibrio del sistema dunare. Garcia-Mora et alii (2001) propongono la seguente classificazione per i sistemi dunari nel settore sud occidentale della penisola iberica: Gruppo I – bassa vulnerabilità – DVI <0.25; Gruppo II – vulnerabilità da bassa a media – 0.25<DVI <0.50; Gruppo III – vulnerabilità da media ad alta – 0.5<DVI <0.60; Gruppo IV – vulnerabilità alta – DVI >0.6.

I valori del DVI delle due aree campione in studio (Tab. 2) sono piuttosto elevati (0.61 e 0.59), ad indicare un’alterazione del sistema nel suo complesso; i valori parziali, consentendo di discriminare il contributo delle varie componenti, agevolano l’individuazione tipologica e la localizzazione delle opportune strategie di gestione ed intervento.

tabella2Tabella 2 – Valori del DVI delle due aree campione in studio.

  CARRYING CAPACITY DELLA SPIAGGIA EMERSA

In un sistema ambientale la valutazione carrying capacity (capacità di carico antropico) analizza i rapporti che intercorrono tra caratteristiche sedimentologiche e morfologiche, densità e distribuzione dei fruitori, qualità e distribuzione dei servizi offerti, sicurezza della balneazione, individuando la quantità massima di persone che un determinato settore ambientale può sopportare, oltrepassata la quale le caratteristiche fisiche del sistema naturale vengono alterate. In letteratura vengono considerati almeno quattro tipi di capacità di carico: fisica (numero di unità che un’area può fisicamente ospitare), ecologica (densità di popolazione che un ecosistema può sopportare), sociale (la densità massima di persone in un’area che possono ambire a tranquillità nei momenti ricreativi) ed economica (turismo che produce impatto negativo sulle attività economiche), (MacLeod & Cooper, 2005; Prato, 2009).

Nel complesso, la capacità di carico è controllata dai parametri che influiscono sulla conservazione delle caratteristiche di naturalità dell’ambiente e dalla percezione soggettiva. Pertanto, superate determinate soglie, l’ambiente diventa poco confortevole perdendo le sue caratteristiche attrattive e ricreative (Pigram & Jenkins, 1999).Attraverso valutazioni semiquantitative dei parametri significativi e analizzandone la loro reciproca interazione si può fornire un quadro di riferimento (Silva, 2002; Davidson et alii, 2007; Silva et alii, 2007) ed un sistema di indirizzi strategici per un uso corretto del litorale sabbioso per attività turistiche e ricreative (Williams & Lemckert, 2007; Zacarias et alii, 2011).

E’ stata valutata la carrying capacity per due settori del tratto litoraneo in esame (settore Nord – centro e settore Sud, Fig. 3) secondo il modello proposto da Jiménez et alii (2007), che prevede lo studio dei rapporti che intercorrono tra caratteristiche morfologiche e sedimentologiche, densità e distribuzione dei fruitori, caratteristiche e distribuzione dei servizi offerti e sicurezza della balneazione. Ai servizi si ascrivono le attrezzature che rendono le spiagge confortevoli quali: il trasporto, i parcheggi, la facile accessibilità, le docce, i servizi di ristoro, i lettini ed ombrelloni, i servizi igienici. L’aspetto della sicurezza include anche la componente legata alle pericolosità intrinseche della spiaggia come i presidi di salvamento, le caratteristiche morfobatimetriche ed idrodinamiche quali correnti lungo costa e rip currents. In altri tratti di costa bassa, sabbiosa, prospicienti anch’essi una Piana costiera (Fiume Sele, Prov. Salerno), sono stati cartografati per la prima volta (Pennetta et alii, 2011b) canali incisi nel fondo da rip currents, veloci flussi che interessano tutta la colonna di acqua, che si dirigono verso il largo ed in grado di porre in difficoltà i nuotatori meno esperti.

La maggior parte della spiaggia dell’area SIC è libera da concessioni per una lunghezza totale pari a 1.615 m. A partire dal limite settentrionale risultano a fruizione libera i primi 1.500 m di spiaggia, seguono concessioni fino al limite meridionale, ad eccezione di un tratto immediatamente a sud del canale Macchine Vecchie. La spiaggia è prevalentemente frequentata, ove presenti stabilimenti balneari, nelle immediate vicinanze degli stessi o in corrispondenza degli accessi più comodi e dei parcheggi (nel complesso circa 1.145 m).

impatti2

Fig. 3 –  Studio delle variazioni della linea di riva dei settori interessati dalla valutazione della carrying capacity

Settore Nord-centro. Questo settore comprende il tratto di spiaggia a fruizione libera, prospiciente la zona seminaturale del SIC ed estesa dal confine settentrionale fino al villaggio – camping Baia Domizia a Sud. L’area interna è di proprietà privata e l’accesso dei fruitori avviene attraverso alcuni varchiabusivi, aperti lungo la recinzione perimetrale sulla S.P. Garigliano – Monte Massico, da cui si dipartono sentieri o strade campestri che raggiungono la spiaggia. Il parcheggio delle autovetture avviene sulla strada provinciale e, sebbene non interferisca con le aree di pregio ambientale, è inadeguato e pericoloso; pertanto la frequentazione balneare della spiaggia, priva di qualsiasi servizio o dotazione, è limitata. La lunghezza della spiaggia è di circa 1.585 m e l’ampiezza compresa tra 10 e 20 m; la variazione in ampiezza, legata all’intensità del moto ondoso, ai processi sedimentari, alle oscillazioni del livello del mare (l.m.) causato dalle maree e dalle sesse,risulta compresa tra 5 e 15 m. La superficie da considerare disponibile per la fruizione è pari a circa di 13.468 mq. Essa è stata determinata considerando l’ampiezza media della spiaggia nel periodo estivo, ma ritenendo utile per i fruitori il tratto di spiaggia compreso tra la battigia e cinque metri dal piede della duna. Quest’ultimo valore è fissato sulla base degli studi disponibili e dalle osservazioni effettuate, affinché non vengano a determinarsi impatti sulla spiaggia interna a carico delle prime forme dunari embrionali e della vegetazione che ne innesca la formazione. Tutti i dati ricavati dall’analisi sono stati posti a confronto con parametri di riferimento; in particolare la superficie di spiaggia emersa utile attribuita a ciascun utente viene assunta pari a 10 mq. I risultati ottenuti hanno consentito di determinare che:

  • – il numero complessivo di utenti è sotto soglia, la loro densità long-shore risulta non omogenea, ma comunque sotto soglia; la densita cross-shore è sotto soglia anche in corrispondenza degli accessi;
  • – il numero di accessi è nella soglia;
  • – la disponibilità di posti auto, il numero di concessioni balneari (benché da tempo inattive), di servizi igienici, di contenitori per la raccolta di rifiuti ed il numero di presidi per il salvamento sono sopra soglia.

Settore Sud. Comprende il tratto di spiaggia a Sud del canale Macchine Vecchie, includendo una prima parte a fruizione libera e la successiva, più meridionale, interessata da una concessione che si estende oltre il confine meridionale dell’area SIC. I rilievi eseguiti hanno mostrato che il tratto di spiaggia libera è di circa 230 m mentre quello interessato dallo stabilimento è di 154 m per una lunghezza complessiva di circa 384 m. Tre piccoli manufatti servono la concessione, posizionati sul fronte dunare, previo, purtroppo, locale sbancamento della duna stessa. La spiaggia è prospiciente il villaggio turistico “La Serra” che, ubicato a tergo della duna secondaria a ginepro, occupa in parte la pineta della duna terziaria e in parte il settore delle dune antiche (Pennetta et alii, 2011a). Esso ha una ricettività giornaliera di circa 1000 persone/giorno nel periodo luglio-agosto. L’ampiezza della spiaggia, compresa tra 15 e 20 m, ha mostrato variazioni in ampiezza comprese tra 7 e 13 m, anche qui legate alle oscillazioni del l.m. causato dalle maree e dalle sesse, all’intensità del moto ondoso ed ai processi sedimentari. La superficie da considerare disponibile per la fruizione è risultata di circa 4.032 mq. Restano fissati come per il settore settentrionale i limiti di protezione della spiaggia interna (5 m) e la superficie utile procapite (10 mq). Confrontando i dati ricavati dall’analisi con i parametri di riferimento si rileva che:

  • – il numero complessivo di utenti e la loro densità long-shore e cross-shore, il numero di accessi, la disponibilità di posti auto sono sotto soglia;
  • – il numero di stabilimenti balneari e il numero di presidi per il salvamento sono nella soglia;
  • – il numero di servizi igienici ed il numero di contenitori per la raccolta di rifiuti sono, seppur di poco, sopra soglia.

 CONCLUSIONI

Gli studi morfosedimentari del sistema costiero in sinistra foce del Fiume Garigliano, svolti nell’ambito del Progetto Providune, hanno consentito, tra gli altri, di eseguire una zonazione sedimentologica e morfologica dell’area, sintetizzati in Pennetta et alii (2011a). Tali studi sono stati posti alla base di valutazioni tese all’individuazione dei limiti di tollerabilità di una spiaggia e delle risorse ambientali da salvaguardare; dati rivelatisi indispensabili per la formulazione di piani e programmi per la gestione e la salvaguardia dei sistemi costieri.

Sono stati pertanto calcolati i valori della vulnerabilità  del sistema dunare (DVI) in due aree campione; i valori ricavati sono nel complesso elevati, essendo compresi tra 0.59 (area campione settentrionale) e 0.61 (area campione meridionale). In entrambe le aree la vulnerabilità è condizionata dai fattori morfosedimentari connessi peraltro ai processi della dinamica marino costiera, che, in accordo con i risultati degli studi precedenti, evidenziano la severità dei fenomeni erosivi realizzatisi, ed in parte in corso, a carico della spiaggia e del sistema dunare; gli effetti di tali processi si riflettono sulle condizioni della vegetazione che evidenzia il forte stato di pressione cui è sottoposta. Le dinamiche osservate sono da porre in relazione agli effetti delle pressioni antropiche che hanno agito nel tempo in maniera sia diretta che indiretta, innescando e/o accelerando processi che tendono a ridurre la resilienza del sistema naturale. Il valore calcolato dell’indice di vulnerabilità parziale relativo agli impatti antropici (HE), basso rispetto ai valori ricavati per gli altri indicatori di vulnerabilità costiera, non tiene conto delle pressioni antropiche indirette (principalmente riduzione quantitativa e granulometrica degli apporti sedimentari fluviali da parte del Fiume Garigliano) che hanno avuto invece un ruolo determinante,  in grado di indurre ab initio la compromissione del sistema. I valori totali ottenuti sono nel complesso confrontabili sebbene, sul settore a Nord,  pesino maggiormente sull’indice relativo (GCD) gli effetti indotti dai più intensi processi di arretramento costiero, mentre nel settore meridionale risultano più sensibili gli effetti degli impatti antropici (HE).

Le analisi sulla carrying capacity della spiaggia sono risultate utili per identificare il superamento di soglie, cui corrispondono condizioni d’uso non adeguate; la loro individuazione consente di attuare strategie di gestione per ridurre al minimo gli impatti da fruizione. In particolare, i risultati ottenuti nel settore settentrionale indicano la presenza di quantità di attrezzature e servizi per la fruizione turistica che, appaiono nel complesso sottodimensionate rispetto agli standards. Benché questo settore di elevato pregio ambientale non sia interessato da un eccessivo carico turistico anche nei periodi potenzialmente più idonei alla balneazione, esso manifesta condizioni di fragilità fisica ed ecologica.

Nel settore meridionale, sebbene le attuali modalità di fruizione risultino compatibili ed anche i servizi solo in parte inadeguati, si rilevano pregresse condizioni di degrado da fruizione legate ad un sovradimensionamento di servizi con manomissione di ampi settori del sistema dunare.

La presenza diffusa di infrastrutture turistiche ubicate sui cordoni dunari, comporta frequentemente lo sbancamento della duna,  introduce elementi di rigidità che innescano processi erosivi, sottrae sabbia utile per l’alimentazione naturale della spiaggia in periodi di bilancio sedimentario negativo e favorisce il degrado degli ecosistemi.Anche le modalità di accesso dei turisti determinano impatti creando sentieri trasversali, localmente incisi nella duna e talora percorsi anche da mezzi motorizzati, da cui si dipartono altre zone di calpestio diffuso e prendono origine fenomeni di deflazione eolica (Fig. 4). A queste si aggiungono la pulizia con mezzi meccanici e gli ampliamenti della spiaggia a danno della duna, con forte riduzione in termini sia di resilienza che di potenziale capacità di accrescimento della duna stessa. Tutti questi elementi di pressione antropica favoriscono i processi erosivi a carico della spiaggia e delle dune mettendo anche in pericolo la conservazione di specie ed habitat di pregio come quello a ginepro o della pineta costiera.

Lo studio sugli impatti è stato articolato sull’analisi degli aspetti fisici e biotici i cui risultati, valutati in maniera multidisciplinare, hanno consentito l’individuazione delle criticità nelle varie aree cui corrisponderà l’identificazione delle azioni di mitigazione da attuare.

In particolare, nel settore settentrionale emerge la necessità di organizzare la fruizione e di dotarla dei servizi minimi indispensabili al fine di eliminare gli impatti prodotti dal disordine con cui si realizza attualmente. Gli interventi in tal senso saranno programmati con grande attenzione con l’intento di preservare al massimo le condizioni di naturalità e gli aspetti di alto pregio ambientale del settore.

impatti3

Fig. 4 – Assi di transito pedonale non gestito sul fronte dunare del settore centro-settentrionale su cui si sono sviluppati processi di deflazione eolica (linea rossa). Indicati la ricostruzione del profilo topografico originario (pto), gli assi delle conche deflazione (cd) e i lobi d’accumulo (lbo) che si addossano sulla vegetazione arbustiva (ginepro) della duna secondaria.  Tali processi sottraggono sabbia agli interscambi duna – spiaggia, favoriscono l’ingressione marina nel corso di eventi meteomarini severi e i fenomeni di compenetrazione e mosaicizzazione nella seriazione vegetale.

Tra gli altri, la delimitazione dei percorsi di accesso e la loro realizzazione su passerelle, semplici interventi di ingegneria naturalistica con chiusura dei varchi d’incisione e protezione del piede delle dune, potranno migliorare le capacità di difesa del sistema ove più compromesso dagli impatti antropici e dalla pressione esercitata dai processi di arretramento costiero.

Nel settore meridionale è prioritaria la previsione d’interventi per il recupero di tratti del settore dunare fortemente compromessi dalle modalità in cui si è svolta nel passato la fruizione balneare con stabilimenti realizzati spianando la duna e consentendo l’accesso di autoveicoli fino alla spiaggia. Per la pulizia della spiaggia sono da utilizzare tecniche manuali abolendo l’uso dei mezzi meccanici.

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Pineta della Foce del Garigliano: azioni ed interventi di conservazione e gestione

a cura di: Prof.ssa Micla Pennetta

Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse (DiSTAR)

Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Largo S. Marcellino n.10

80138 – Napoli (Italy)

mail: pennetta@unina.it

 

Nell’ambito di un sistema costiero, la duna occupa una posizione retrostante la spiaggia emersa ed è sede di trasporto e deposizione di sedimenti prodotti dall’attività eolica; essa è costituita da sabbia alimentata dai sedimenti della spiaggia ed a sua volta costituisce una riserva di sabbia che alimenta la spiaggia quando questa è soggetta a processi erosivi. L’attivo scambio di sedimento tra spiaggia e accumulo dunare (avanduna) è un fattore caratterizzante della duna costiera, parte attiva nei complessi e delicati processi che regolano l’ambiente litoraneo ed il suo bilancio sedimentario. In generale quindi, le dune costiere costituiscono una difesa naturale della costa e rappresentano anche un habitat di importante valore naturalistico e paesaggistico.

Le dune fisse hanno benefici effetti sul retrospiaggia e in generale sull’ambiente costiero perché costituiscono, una riserva di sabbia che alimenta la spiaggia in occasione di bilancio sedimentario in deficit, ed una barriera fisica (un argine per le acque) a protezione dei territori retrostanti. Di conseguenza, le azioni finalizzate alla difesa delle dune si rivelano particolarmente strategiche ai fini della difesa dei litorali.

Nell’ambito di un sistema dunare costiero progradante, immediatamente a tergo della spiaggia, si riconoscono (Fig. 1), procedendo verso terra, dune embrionali, primarie, secondarie e terziarie (LEY VEGA DE SEOANE et al., 2007).

caserta1

La prima linea di dune è costitutita da dune più giovani che contribuiscono a rifornire di sedimento le dune. Tale zona, caratterizzata da elevata salinità, mancanza di humus e pH alcalino (8-9) non costituisce un ambiente adatto ad ospitare vegetazione. La copertura vegetale è quindi molto ridotta (es. junceiformeAgropyron), 20% circa; le onde di tempesta possono distruggere queste protodune che possono poi essere ricostituite nei periodi di calma. Le avandune, o dune primarie, meno giovani, più grandi e più alte delle precedenti, seguono immediatamente le embrionali e sono costituite da sabbia incoerente mossa dai venti. Nel complesso, hanno una relazione dinamica con la spiaggia che delimitano e sono interessate dai processi legati al moto ondoso. Le avandune sono fissate per 80% circa dalla vegetazione che nelle zone temperate è rappresentata da Ammophyla arenaria. Tra queste dune e le successive sono presenti aree strette e lunghe o depressioni interdunari; in inverno queste depressioni possono raggiungere la falda; questa maggiore disponibilità di acqua e la maggiore protezione dal vento consentono il proliferare della vegetazione che copre il pavimento, accelerando la creazione di humus.

Le dune secondarie presentano migliori condizioni per la crescita della vegetazione, quali un (tra 7,5 e 6,5) ed un migliore riparo dal vento che trasporta quindi meno sale. In queste condizioni aumenta il numero delle specie, che in alcune aree ricoprono interamente la superficie

Le dune terziarie, a tergo di quelle secondarie e più stabili ed antiche per genesi, sono coperte da fitta vegetazione arbustiva nella parte più prossima al mare passante a bosco impiantato (es. pino marittimo) con lo scopo di stabilizzare le dune; più raramente è presente vegetazione naturale.

Le dune fisse hanno effetti positivi sul retrospiaggia e in generale sull’ambiente costiero perché costituiscono un argine contro le ingressioni marine ed una barriera fisica a protezione dell’entroterra. Tutto ciò premesso, risulta indispensabile che le attività di gestione della duna devono essere volte a preservarne l’integrità (fig. 2) anche come sistema ecologico.

caserta2

La fascia dunare oggetto del presente studio ricade nel settore costiero ubicato in sinistra foce del Fiume Garigliano (Campania settentrionale); la naturalità di alcune sue parti induce a porre attenzione, nella fase conoscitiva di conservazione, ripristino e poi di gestione, sia agli aspetti geologici e geomorfologici del paesaggio ed ai processi evolutivi in atto. Infatti, l’area in studio, e più estesamente quelle costiere campane, rappresentano ambienti di transizione dominati dalle onde, caratterizzati da dinamiche geologiche e morfoevolutive spesso accelerate; sono estremamente sensibili alle trasformazioni naturali ed alle modificazioni dirette o indotte dall’attività antropica.

Le coste sono forme dinamiche ubicate in un ambiente di transizione sensibile; sono caratterizzate da una dinamica evolutiva rapida. L’evoluzione è controllata da processi naturali; le variazioni nel bilancio tra apporti di sedimenti provenienti dai corsi di acqua e la rimozione degli stessi per azione del moto ondoso e delle correnti trasversali da esso prodotte si traduce in un avanzamento o in un arretramento della linea di riva. E’ stato pertanto indispensabile determinare come tali processi abbiano agito nel loro complesso e come siano stati influenzati dalle caratteristiche morfologiche dell’area e/o dalla presenza di eventuali opere o attività antropiche. Nella verifica dei processi che agiscono lungo una spiaggia è inoltre necessario analizzare la morfologia dei fondali prospicienti e la loro evoluzione morfologica; quest’ultima, infatti, influenza fortemente il moto ondoso incidente e le correnti da esso generate attraverso fenomeni di rifrazione sul fondo.

Nelle zone costiere convergono i processi continentali e oceanici, che determinano un paesaggio che è soggetto a rapidi cambiamenti. Tali cambiamenti potrebbero essere attribuiti a singoli eventi catastrofici, come pure a eventi e processi incessanti, che contribuiscono alla modellazione del paesaggio costiero. L’evoluzione di questo paesaggio, in cui interagiscono onde, maree e correnti marine, potrebbe modificare l’intensità di uno di questi processi, aumentare o ridurre gli effetti di un altro, nel tempo e nello spazio.

Oltre agli effetti dei processi naturali, sono state osservate alcune modifiche della fascia costiera indotte da attività umane, responsabili dell’amplificazione di processi costieri erosivi.

L’avanzamento o più spesso il ritiro della costa assume un valore significativo quando si hanno variazioni nella topografia, e nella vegetazione, nonché nell’uso del territorio ad es. turismo, industria, agricoltura, ecc. Tali variazioni possono conferire grado di criticità costiera all’erosione, soprattutto in zone popolate vicino alla costa, a causa delle frequenti perdite di proprietà. In questo caso, la conoscenza dei processi costieri nonché la loro distribuzione diventa uno strumento di base per sostenere la pianificazione e la gestione delle aree litoranee. Recentemente, è stato riconosciuto nelle caratteristiche della costa (es. impostazione geologica), nonché nel verificarsi di alcuni eventi naturali (erosione costiera, danni da tempesta) la predisposizione potenziale di una zona all’erosione. L’ultima tendenza, è quella di valutare la criticità costiera come il risultato di una matrice di interazione, tra le cause e gli effetti, tra l’interrelazione tra sistema costiero e processi.

Le spiagge non possono essere considerate come un ambiente stabile per essere sfruttate senza conseguenze; il modellamento del paesaggio costiero è un fenomeno complesso, perché governato da diversi processi dinamici, tutti collegati in un modo non lineare. Pertanto, secondo la moderna ipotesi geografico-fisica, non è corretto semplificare lo studio dell’ambiente costiero applicandole teorie di equilibrio classico. Questi sistemi di transizione sono regolati dai principi fisici del non equilibrio; ogni elemento fisico, biotico e antropico interagisce con gli elementi contigui accelerando la dinamica dei processi geomorfici. Le coste sabbiose sono costituite da materiali detritici sciolti e sono quindi soggette a continua evoluzione a causa dell’azione dinamica del mare.

Pertanto per svolgere un’efficace conservazione, ripristino, gestione e salvaguardia dell’ambiente costiero in senso lato è necessario considerare tutti i processi, i fattori e i fenomeni del sistema esaminato, e come essi sono distribuiti nel tempo e nello spazio.

Gli studi svolti nell’area in sinistra foce del Fiume Garigliano hanno consentito di definire che il settore costiero in studio è interessato diffusamente da processi erosivi legati a fattori naturali ma anche ad attività antropica di vario tipo.

I processi naturali che determinano l’erosione costiera sono legati all’attività del moto ondoso e delle correnti in relazione all’apporto sedimentario del Fiume Garigliano ed alla morfologia della costa e della piattaforma continentale; altri processi naturali sono da ascrivere a fenomeni di subsidenza della piana costiera del F. Garigliano. Non va inoltre trascurata l’azione delle variazioni climatiche che stanno interessando il nostro pianeta, con un complessivo aumento della temperatura globale, cui fa riscontro un innalzamento del livello del mare (valutato attualmente in circa 1-1,5 mm/anno) e graduale sommersione di porzioni di pianure costiere con quote basse.

Oltre ai processi naturali anche l’azione antropica, almeno a partire dal 1950 circa, ha favorito l’erosione costiera a seguito degli interventi nell’entroterra. L’espansione urbanistica a fini residenziali e turistici della fascia litoranea ha amplificato la vulnerabilità del settore costiero in studio determinando modificazioni ambientali; l’espansione urbanistica generalizzata peraltro ha ridotto le aree di ruscellamento. A questo si aggiunga la cementificazione degli argini fluviali e la costruzione di briglie lungo l’alveo del Garigliano e l’estrazione degli inerti lungo il fiume che hanno prodotto un impoverimento del trasporto solido e quindi un minore rifornimento della spiaggia. Anche le opere a difesa del litorale posto a N dell’area in studio (nella regione Lazio), intercettando i sedimenti coinvolti nel trasporto litoraneo, procurano un mancato rifornimento alla costa. Anche il Canale Macchine Vecchie, per quanto modesta opera, determina erosione della spiaggia verso Sud. Inoltre lo sbancamento delle dune costiere di qualsiasi ordine (enormi serbatoi naturali di sedimenti sabbiosi) attuato per far posto ad insediamenti urbani e/o turistici o per interventi di bonifica del Pantano di Sessa, ha inciso negativamente sul bilancio costiero. Tutti elementi questi che concorrono al depauperamento del budget sedimentario del sistema costiero. Hanno altresì contribuito gli emungimenti dalle falde acquifere che procurano subsidenza della piana costiera e quindi ingressione del mare ed arretramento della linea di riva. Non va infine trascurato che le azioni antropiche di cui innanzi si riflettono sui cordoni dunali e sulla loro integrità; altre impatti antropici determinano ancora i frequenti elementi di discontinuità quali i solchi trasversali alla duna, frequentemente utilizzati per l’accesso incontrollato alla spiaggia, da cui si dipartono altre zone di calpestio diffuso. L’attraversamento delle dune ed il calpestio diffuso innescano sia importanti fenomeni erosivi che il depauperamento della vegetazione autoctona oltre alla penetrazione e diffusione di specie aliene. Effetti simili saranno da attendersi anche nell’area della duna terziaria pinetata percorsa da incendio.

Tutti i processi naturali ed i fattori antropici che hanno agito su questo sistema costiero ne hanno di fatto alterato l’equilibrio, verificato che non si riscontrano gli elementi morfologici indicativi di un normale modello teorico di sviluppo della fascia dunare. Per effetto di tali processi si è determinato, in estrema sintesi, un notevole arretramento della linea di riva (mediamente un centinaio di metri negli ultimi 55 anni) cui ha corrisposto, oltre la perdita in generale di un enorme patrimonio culturale, anche l’arretramento della seriazione di comunità vegetali psammofile gradualmente più strutturate, tipico di un’area costiera, oltre che alterazioni rispetto al modello di zonazione. Basti pensare alla determinante assenza dell’avanduna, deputata al rifornimento di sedimento delle altre dune, ed alla posizione dell’attuale duna secondaria, che dovrebbe essere stabile mentre invece è in via di smantellamento (solo 50 anni fa era terziaria e stabile). Si sottolinea quindi il ruolo fondamentale delle dune fisse per i loro effetti positivi sulla spiaggia, retrospiaggia e in generale sull’ambiente costiero.

Alla luce di queste premesse sarebbe auspicabile porre in essere misure destinate alla conservazione ed al ripristino del sistema dunale volte a preservarne l’integrità anche come argine contro le ingressioni marine e ad assicurarne la sussistenza come sistema ecologico, soprattutto dal punto di vista vegetazionale. In particolare, la ricostruzione dei cordoni dunali e la realizzazione di opere volte a facilitarne l’attraversamento (quali sentieri e passerelle parallele alla linea di riva) dovrebbero servirsi di tecniche naturalistiche in grado di favorire meccanismi di feedback positivo tra la componente biologica, sedimentologica e morfologica ed un aumento della resilienza e della stabilità dinamica del sistema spiaggia-duna quali ad esempio processi di deposizione delle sabbie, di ricarica della falda freatica, di insediamento di specie pioniere. Potrebbe altresì essere presa in considerazione, tra gli altri, l’efficacia di nuove tecnologie biologiche, concepite allo scopo di servirsi da resti dei Posidonia oceanica depositati sulle spiagge, che non dovrebbe più essere considerata come rifiuto, ma come una materia prima utilizzabile. Questo approccio innovativo presenta il vantaggio di ridurre la massa di questi residui, che sono di solito tolti delle spiagge attraverso attività di pulizia, e di fertilizzare il sedimento mantenendo il tasso di umidità più elevato all’interno delle dune.

Potrebbero inoltre essere presi in considerazione interventi da attuarsia a mare tesi alla disperione di energia del moto ondoso, quali barriere soffolte. La progettazione e la posa in opera di tali strutture va preceduta da studi propedeutici volti alla conoscenza, tra gli altri, della morfologia e sedimentologia della spiaggia sottomarina prospiciente l’area Sic e alla propagazione del moto ondoso a largo e sotto costa in funzione della morfologia del fondo marino. Altri elementi che contribuiscono a stabilizzare i fondali marini dal punto di vista fisico e a dissipare l’energia del moto ondoso e, quindi, a proteggere le coste dall’erosione sono i posidoneti, quali ad es. praterie di Posidonia oceanica (Linneo), una Fanerogama marina endemica del Mediterraneo. I posidoneti costituiscono un ecosistema fondamentale per la sopravvivenza di numerose specie animali e vegetali epibionti sulle foglie, sui rizomi ed in prossimità del substrato (nursery).

Le spiagge non possono essere considerate come un ambiente stabile per essere sfruttate senza conseguenze; il modellamento del paesaggio costiero è un fenomeno complesso, perché governato da diversi processi dinamici, tutti collegati in un modo non lineare. Pertanto, secondo la moderna ipotesi geografico-fisica, non è corretto semplificare lo studio dell’ambiente costiero applicandole teorie di equilibrio classico. Questi sistemi di transizione sono regolati dai principi fisici del non equilibrio; ogni elemento fisico, biotico e antropico interagisce con gli elementi contigui accelerando la dinamica dei processi geomorfici.

Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Sinni: introduzione e inquadramento generale

INQUADRAMENTO DELL’AREA

L’area SIC “Bosco Pantano di Policoro e Costa Ionica Foce Sinni” (NATURA 2000 Code:IT92220055) ha un’estensione di 849 ha, con quota di altitudine compresa tra 0 e 5 m sul livello del mare. Il suo limite S-E è rappresentato dal mare e si estende per circa 3,4 km, mentre il limite S-O è delineato dal fiume Sinni.
Segnalata dalla Società Botanica Italiana come meritoria di tutela dal 1971, l’area è Sito di Importanza Comunitaria (SIC) per la presenza di habitat naturali o specie di interesse conservazionistico, in base alla direttiva comunitaria Habitat, ed anche Zona di Protezione Speciale (ZPS) in base alla Direttiva “Uccelli” (79/409/CEE). Dal 1999, ai sensi della legge regionale n. 28/94, è stata istituita la Riserva Naturale Regionale per una superficie di circa 480 ha.


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